XX Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
“Camminata del risveglio sulle orme dei nostri padri”.
Eremo di Carpegna, 17 agosto 2014

Is 56, 1.6-7
Sal 66
Rm 11, 13-15.29-32
Mt 15, 21-28

(da registrazione)
Una madre implora la guarigione per la sua bambina. Ma Gesù ci raggela con la sua reazione, lui così dolce e umile di cuore, sempre delicato e sensibile di fronte alla sofferenza dei piccoli, ha un atteggiamento di freddezza verso questa mamma; dà l’impressione di allontanarla. Tuttavia lei non si arrende davanti al silenzio di Gesù.
Ci sono tante interpretazioni di questi versetti – ve le risparmio – vi dico quello che è il frutto della mia meditazione. La donna straniera chiama Gesù come avrebbe fatto il più osservante degli Ebrei: lo chiama «Signore», «Figlio di Davide»; con queste parole lo designa come il Messia che deve venire. E’ correttissima, ma Gesù vuol far crescere in lei un’altra dimensione, vuole che non si fermi alla formula, per quanto esatta. Le parla con espressioni simili a quelle che aveva usato con la donna più cara della sua vita, Maria sua madre. Gesù si rivolge alla donna cananea come si rivolse a Maria quando, alle nozze di Cana, replicò a lei che domandava un prodigio «Che ho da fare con te o donna? Non è ancora giunta la mia ora» (cfr Gv 2,4). Come Maria di Nazaret anche la donna cananea riesce con la sua insistenza a spostare le lancette dell’ora di Gesù. Come ha fatto? Con la fede, con la sua umiltà e con l’unico tesoro che questa donna possiede: la sua bambina. Per quanto sprovveduta, quella donna sa che il Dio di Israele è un Dio di bontà e si accontenterebbe delle briciole. Gesù cede e le dice: «Donna davvero grande è la tua fede»; si complimenta con lei. E quand’è che Gesù ammira la fede di una persona, quand’è che ammira ciascuno di noi? Quando gridiamo verso di lui con audacia, con insistenza, quando ci facciamo umili, piccoli come bambini, allora lui ascolta, guarda, si lascia toccare, risponde… E noi, che crediamo di credere, abbiamo un po’ della fede di quella donna cananea? Preghiamo, sì; ma non otteniamo, perché? Forse Dio fa con noi come con quella donna, vuole purificare la nostra fede, formarci all’umiltà e soprattutto alla confidenza, vuole che guardiamo attorno a noi i fratelli e le sorelle che sono il nostro tesoro che portiamo nella preghiera.
Ricordate quando Dio incontrò Caino e gli disse «Dov’è tuo fratello?» (cfr Gn 4,9). Ricordate la sua risposta: «Son forse il custode di mio fratello?» (cfr Gn 4,9). Era la risposta peggiore che potesse dare. Allora noi vogliamo, in questa Eucaristia, andare incontro a Gesù tenendo per mano strette strette tutte le persone che Gesù ci ha affidato a cominciare da quel grappolo di vita così bello che è la nostra famiglia. É importante che ci mettiamo in rete, che cantiamo la bellezza della famiglia. Nella famiglia sono unite insieme tutte le differenze: l’uomo e la donna, il piccolo e il grande, il giovane e il vecchio, il fratello che ha studiato e quello che ha solo la quinta elementare, quello che va in chiesa e quello che non ci va, quello che è “di destra” e quello che è “di sinistra”… nella famiglia tutto è accolto. Essa è il luogo della custodia di tutte le differenze. Questa è solo una delle cose che rende bellissima la famiglia e noi lo vogliamo proclamare in faccia al mondo. Con il Signore bastano parole semplici…
Una persona che andava a scuola di preghiera, alla domanda “come si fa a pregare?” si sentiva dire dal maestro: “A pregare si impara pregando”. Ogni giorno, l’allievo tornava sconsolato dal maestro e lui ripeteva sempre la stessa cosa, finché un giorno l’allievo non tornava più, si era attardato sotto un albero a pregare. Alla sera, al suo ritorno, il maestro gli chiese se avesse imparato a pregare e come. L’allievo rispose che diceva così al Signore: “A, b, c, d…” – tutto l’alfabeto – aspettando che fosse Lui, il Signore, a comporre le parole. Al Signore bastano parole semplici, ma che vengano dal fondo di noi stessi, perché non sempre le labbra sono collegate al fondo di noi stessi. A volte anche i ragionamenti non pescano del tutto nella parte vitale del nostro cuore. La preghiera è un grido che sale dal profondo, la preghiera è … materna!
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DISCORSO DEL VESCOVO PRIMA DELLA SANTA MESSA
Oggi siamo venuti quassù, al santuario della Madonna del Faggio, a pregare per le nostre famiglie, siamo venuti per chiedere il dono di tante vocazioni sacerdotali, religiose, missionarie, diaconali, ma siamo venuti anche a chiedere che si viva la vita di famiglia come vocazione.
Insieme a queste intenzioni e a tutte quelle che abbiamo covato nel cuore durante il cammino, vogliamo fare una grande preghiera per i nostri fratelli perseguitati in Nigeria, in Siria e soprattutto, in questi ultimi mesi, nel nord dell’Iraq.
Ci uniamo a tutti quelli che chiedono rispetto e tolleranza, non solo ai cattolici, ma a tutte le minoranze che non vengono considerate nei loro sentimenti e nel loro credo. Sarebbe bello che i cristiani che vivono in quelle regioni, non fossero costretti a venir via; anzi – mi verrebbe da dire – perché non andiamo là anche noi? E’ facile dirlo per me che sono qui, ma è veramente importante andarci per tener viva la presenza cristiana, per costruire il dialogo sul posto ed inoltre perché le minoranze cristiane sono una grande risorsa per il bene comune di quelle terre. Allora io propongo ad ognuno di noi di adottare un cristiano, perché possa continuare la sua missione, magari spostandosi di villaggio in villaggio. Vorrei che mettessimo da parte qualcosa del nostro bilancio familiare per sostenere quelle persone. In seguito, con l’aiuto della Caritas, potremo essere più precisi su come svolgere questa operazione nel modo migliore e più sicuro.
Poi mi viene da domandare – non a voi che ho visto numerosi stamattina, riuniti a pregare nelle piazze, prima di partire, a “pregare per pregare bene” – ma a me: “Tu, don Andrea, sei un vero cristiano? Cosa sei disposto a dare a Gesù? Per lui cosa sei pronto a fare?”. É una domanda che ho nel cuore e che depongo ai piedi di Maria perché mi incoraggi, perché, se c’è bisogno, smascheri le mie meschinità e me le renda note e poi perché aiuti me e tutti a diventare santi.
Concludo con il racconto di un fatterello molto significativo. Un ragazzino di terza media era stato interrogato in matematica ed era alla lavagna. Era il mese di maggio. Gli era venuto da starnutire e voleva tirar fuori il fazzolettino, invece gli è uscita dalla tasca la corona del rosario. Potete immaginare il coro pettegolo delle ragazzine e dei suoi amici che lo deridevano… Vedete, la persecuzione è anche qui; una persecuzione sorda, criptica, nascosta ma tremenda, in fabbrica, a scuola, ovunque. Il ragazzino coraggiosamente ha risposto: “Cosa c’è di male se dico il rosario?”. Quel ragazzino è stato un missionario.