Solennità di San Marino – Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Fondatore della Città
Compatrono della Diocesi
Sir 14, 20 – 15, 4
Sal 47
At 2, 42-48
Mt 5, 13 – 16
Santa Messa
con la presenza dei Reggenti e delle autorità
Basilica del Santo, 3 settembre 2014
Saluto gli Eccellentissimi Capitani Reggenti, le autorità civili e militari; saluto i miei fratelli sacerdoti, i diaconi e le sorelle consacrate presenti o presenti spiritualmente; saluto tutti voi cari amici venuti in questa splendida basilica per onorare Santo Marino, fondatore della nostra città e repubblica, compatrono della diocesi insieme a San Leo.
La solennità di San Marino è anche un appuntamento festoso, una sosta salutare prima di riprendere il cammino dopo l’estate. Un’estate, questa, tremenda, per i fatti di cronaca nazionali e per gli eventi internazionali di cui non siamo semplicemente spettatori, ma, in qualche modo, coinvolti. Alludo soprattutto alla questione morale di casa nostra, agli sbarchi di migliaia di uomini in fuga da altrettanti inferni, alle guerre dimenticate ma ancora crudeli nella regione dei grandi laghi nel Congo, alle guerre vicine come quella nell’Ucraina, a quella interminabile nella terra di Gesù, e all’assurda avanzata dell’Isis che profana il nome di Dio, perseguita ed opprime minoranze cristiane presenti da duemila anni in quelle terre ed altre minoranze, altrettanto meritevoli di rispetto.
Quindici giorni fa, partendo dalle nostre parrocchie, siamo saliti all’Eremo di Carpegna per pregare la Madonna, la Madonna del Faggio, come là viene chiamata. Abbiamo messo nel suo cuore, insieme alle nostre personali urgenze, l’urgenza più grande: quella della pace.
Avevamo già aperta l’estate con una grande preghiera per e con i politici nel giorno di San Tommaso Moro per far sentire loro la nostra vicinanza e partecipazione, perché tutti mettessimo in cuore l’urgenza del bene comune come servizio e per favorire nei giovani la vocazione all’impegno politico.
La preghiera è un fiducioso antidoto all’impotenza di fronte alle sorti della intera società; è il primo servizio che possiamo rendere all’umanità, perché la preghiera è l’altra faccia della fede, abbandono nella custodia di Dio e poi esercizio di amore e di con-passione.
L’abitudine di molti – credenti e anche, più spesso di quanto si creda, non credenti – di chiedere agli uomini di Dio che li ricordino nelle loro preghiere dovrà forse essere rivalutata.
La preghiera è l’esatto contrario della rassegnazione; toglie la scena all’arroganza delle potenze del male.
Ogni volta che il silenzio e la musica della preghiera – possente e corale come oggi qui in Basilica, o struggente e intima come nelle case o nelle pievi che trapuntano il nostro territorio – si leva ad avvolgere la comunità degli uomini, i delusi e gli oppressi della terra drizzano le orecchie, perché la preghiera custodisce la speranza per tutti.
Gli uomini e le donne che hanno servito e servono Dio in spirito e verità non pregano soltanto per i buoni, ma per tutti noi peccatori.
E se non ci si è ancora spenta l’anima è perché i santi non ci hanno escluso dalla loro preghiera.
Affidiamo al Santo Marino questi nostri giorni, le nostre ansie e i nostri deficit di speranza. In Santo Marino riconosciamo le radici della nostra Repubblica, i suoi valori, il suo genio, così da duemila anni! Quando il pellegrino – dice un proverbio africano – beve al torrente, pensa alla sorgente. Una sorgente che ancora zampilla, altrimenti non saremmo qui. Questo nostro riunirci non è folklore; questa assemblea non è una ricostruzione di epoche lontane. Qui accade per noi l’incontro con una persona viva: Gesù Cristo, di cui Marino fu geniale discepolo e intraprendente testimone.
La prima lettura (dal Siracide) – che vediamo realizzata in Santo Marino – gronda di una serie di verbi che descrivono l’instancabile corteggiamento alla verità. Ne ho contati almeno quindici! Il sapiente si dedica, riflette, medita, penetra, insegue, si apposta, spia, ascolta, sosta, fissa la sua tenda, vi riposa, vi mette i suoi figli, vi soggiorna, si protegge, l’abita… Verbi che dicono la fatica del cammino, l’onestà della ricerca, la fedeltà nella perseveranza, la custodia della verità che il sapiente non abbandona più. Penso alle sfide che, oggi, siamo chiamati ad affrontare, all’aggiornamento di antiche consuetudini, ai valori da trasmettere intatti alle nuove generazioni. Nella festa di San Leo, l’altro nostro patrono, avevo sottolineato – quasi parafrasando un’affermazione di Dostoevskij – che “la bellezza della famiglia salverà il mondo”. Consideravo San Leo l’architetto evangelico (cfr. Mt 7, 24-25) che costruisce sulla roccia: “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia”. La famiglia è la solida roccia su cui è fondata la nostra società, la famiglia fondata sull’amore fra l’uomo e la donna e aperta alla vita.
Oggi chiediamo allo scalpellino di Arbe, Santo Marino, di custodirci nella sacralità della vita e di aiutarci ad assumere la sua intangibilità come criterio delle nostre scelte civiche riguardanti la vita umana dal momento del suo sbocciare al suo tramonto. (Alla sacralità della vita si rifanno anche tutte le altre scelte politiche che promuovono la dignità di ciascuno).
Il breve, ma intramontabile passo degli Atti degli Apostoli appena letto, ci tramanda un quadro ideale a cui ispirare la ricerca del bene comune. Ieri sera dicevo ai circa cinquecento giovani che si preparavano alla festa di oggi, che non solo è bello tutto questo, ma che è possibile. Aggiungevo poi che Gesù non dice: “sforzatevi di essere sale della terra, di essere luce del mondo”, ma “voi siete il sale, la luce…”. Guai se il cristiano perde la sua identità, la sua differenza specifica. Ma dico a chi ancora non ha incontrato il Signore Gesù: guai se per indulgenza o per rinuncia all’esercizio della ragionevolezza non trasmettiamo ai giovani punti fermi, evidenze e valori sicuri. Questa è per tutti la lezione, la profezia racchiusa nella nostra storia. San Marino, piccola repubblica e grande nella sua libertà e originalità.
Una luce, anche se piccola, si vede da lontano!