Saluto al parroco don Marco Scandelli e al collaboratore don Stefano Mirt nella XXXII domenica del Tempo Ordinario
Borgo Maggiore (RSM), Santuario Madonna della Consolazione, 7 novembre 2021
Mc 12,38-44
Carissimi tutti,
vi saluto mentre vi preparate a vivere un’esperienza particolare: il trasferimento dei vostri sacerdoti.
Rivolgo un saluto colmo di gratitudine a don Marco e a don Stefano.
Il cambio del pastore – il sacerdote – fa pensare a colui che è il Buon Pastore, il Signore Gesù. Noi passiamo, lui resta.
Tuttavia, la vostra partecipazione dimostra quanto sia importante la figura del prete. Una consapevolezza condivisa anche da chi non è praticante o è di altra convinzione. Per i credenti il sacerdote è soprattutto colui che presiede la Divina Eucaristia. A lui il Cielo obbedisce, il Signore Gesù nelle sue mani si dona, getta la sua vita, si fa presenza con la sostanza del suo corpo, sangue, anima e divinità. Attraverso l’assoluzione sacramentale il sacerdote dà il perdono di Dio. Da questo punto di vista il prete è la persona più ricca che ci sia: per l’imposizione delle mani (cioè per il sacramento dell’Ordine), per la grazia sacramentale, ha il potere stesso di Gesù. Capisco quanto diceva Francesco d’Assisi ai suoi frati: «Se incontrate per strada un arcangelo e un prete poverello, salutate prima il prete poverello» (cfr. FF 176; 790). Nel contempo il sacerdote è la persona più povera che ci sia, perché non dice parole sue, non ha poteri suoi, ma semplicemente mette a disposizione del Signore le sue mani, i suoi piedi, il suo cuore, la sua intelligenza per essere una sua presenza. Rimane intatta la sua umanità, con le sue caratteristiche, i suoi pregi e i suoi difetti. «Preso fra gli uomini (della loro stessa natura), è costituito a favore degli uomini per le cose che riguardano Dio» (cfr. Eb 5,1). Da un buon gregge vengono buoni pastori! (cfr. Sant’Agostino D 46,29). Questo ci responsabilizza.
Ogni cambiamento segna sempre un punto critico, di sofferenza e di distacco, ma può diventare motivo di crescita per tutti.
Nella mia vita ho cambiato otto volte il servizio pastorale; non dico che il sacerdote soffre più degli altri, se faccio il paragone con i miei fratelli (nella mia famiglia) devo riconoscere che hanno sofferto e soffrono molto più loro di me. In otto cambiamenti ho trovato ogni volta una casa migliore dell’altra… Il Signore mi ha chiamato al sacro celibato, ho rinunciato ad avere una famiglia mia; ma quanti affetti, quante amicizie… Lo dico per incoraggiare chi eventualmente è chiamato. Davvero il Signore dà il centuplo, insieme a qualche persecuzione e a qualche distacco (cfr. Mt 19,29).
Quest’anno siamo stati accompagnati nella liturgia domenicale dall’evangelista Marco. Questa è la domenica in cui Marco chiude la sezione narrativa del suo Vangelo. Poi, domenica prossima, ci riferirà il discorso di Gesù sulla fine. Chissà quanti altri episodi, quante altre parabole e parole di Gesù l’evangelista Marco avrebbe avuto a disposizione. Ma, per congedarsi da noi, suoi lettori, sceglie tra i ricordi l’invito commosso di Gesù a guardare la vedova povera (cfr. Mc 12,38-48). Gesù invita i discepoli, e Marco invita noi, a fare come la vedova povera, che dà tutto, tutto quello che ha per vivere. Ci raccomanda questa anonima del Vangelo come modello del vero discepolo, pieno di fiducia nel Padre, al quale dà tutto senza riserve (è poco quello che dà, ma è tutto per lui!): «due spiccioli che fanno un soldo», che sono l’amore a Dio e l’amore al prossimo, un unico amore.
Gesù è davvero commosso, perché vede nella vedova povera quello che sta per vivere nella Passione. Ben sette volte, in una pericope così breve, adopera il verbo gettare (il verbo greco è molto più ricco di quello italiano): gettare è un’allusione molto chiara alla scelta di Gesù di offrire la sua vita. Il verbo “gettare” non è disprezzo della vita, ma decisione risoluta di dare tutto senza nulla trattenere per sé.
Diciamo grazie all’evangelista Marco che ci ha accompagnato lungo questo anno. Marco è l’evangelista del catecumeno, che prende per mano e al quale fa vedere l’umanità di Gesù con molti particolari per farlo riconoscere come Figlio di Dio. Nell’iconografia Marco viene raffigurato con un leone. Nel prossimo anno liturgico – ormai imminente – saremo accompagnati da un altro evangelista, Luca, raffigurato dall’iconografia come un bue. Se il Vangelo di Marco è il Vangelo del catecumeno, con l’insegnamento e l’accompagnamento, l’evangelista Luca – come scriveva Dante Alighieri – è lo scriba mansuetudinis Christi, cioè colui che ci rivela e ci manifesta la tenerezza e la misericordia di Gesù. Vi auguro un buon anno liturgico. Sia lodato Gesù Cristo.