Pellegrinaggio in Terra Santa – ottavo giorno
1 ottobre 2019
Ultimo giorno. A molti succede di svegliarsi prima del tempo. È ancora buio. Il gallo canta. Dai minareti si leva la melodia della preghiera del Muezzin. Alcuni di noi sono in terrazza a contemplare l’alba su Betlemme. Radiosa. Le valige sono la prima preoccupazione: come trovarvi un posticino per i piccoli doni da portare a casa? L’ordine è di essere ancor più puntuali del solito. In autobus fa la sua comparsa la nuova parola di vita. Ogni giorno, immancabilmente, accompagna il gruppo sui passi di Gesù: dalla ricerca delle tracce storiche al fare proprio il suo programma. Questa mattina la parola ci consegna il testamento di Gesù: «Vi do un comandamento nuovo…».
Lasciamo Betlemme con un po’ di nostalgia. Destinazione Gerusalemme, precisamente San Pietro in Gallicantu e attigua “scaletta” dove Gesù, la sera del Giovedì Santo – secondo la tradizione – è passato due volte: una da libero, l’altra da prigioniero.
La chiesa di San Pietro in Gallicantu include importanti scavi archeologici. Si presume fosse qui la residenza di Caifa con annessa la cisterna dove temporaneamente è stato rinchiuso Gesù nella concitata notte del processo. Nel cortile della casa di Caifa il “principe degli apostoli” per tre volte rinnega Gesù, messo in buca dalle insinuazioni di una servetta e di qualche passante. L’episodio è raccontato da tutti i Vangeli, senza risparmiargli la figuraccia. Meditiamo sul testo di Luca. Ci riferisce lo sguardo che Gesù, incatenato, rivolge all’apostolo. Ognuno di noi sente rivolto a sé quello sguardo. Prolunghiamo la sosta. Inevitabile il confronto con l’apostolo Giuda, il traditore. A differenza di Pietro, Giuda, preso dal rimorso, si fa orgogliosamente giustizia da sé. Il suo pentimento è sterile, mentre quello di Pietro è fecondo, perchè lo trascina fuori da sé e lo pone davanti alla misericordia di Gesù. Pietro piange. Di dolore? Di commozione? In ogni caso per amore.
La scaletta è di epoca romana. Gesù ha calcato i piedi su quelle pietre, ma ci interessa rileggere la sua preghiera per l’unità riferita al capitolo 17 di Giovanni: «Padre, che tutti siano una cosa sola come io e te…». È il sogno di Gesù, è il segno distintivo dei discepoli: «Perché il mondo creda».
C’è un terreno attorno alla scaletta. È stato acquistato dal Movimento dei Focolari per custodirla e per creare attorno uno spazio a servizio della pace e dell’unità. Da una parte quel fazzoletto di terra confina con le proprietà di un ebreo ultraortodosso, dall’altra con abitazioni palestinesi. Nella parte alta è in prossimità del Sion ebraico, in discesa si affaccia sulla valle del Cedron. «Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli». Preghiamo per l’unità. Ci incuriosisce il carisma del Movimento dei Focolari.
Tempo libero. Destinazioni a scelta. Nessuno resta in pullman. C’è chi torna alla Gerusalemme vecchia per una veloce attraversata del mercato ed un ultimo saluto al Santo Sepolcro (da fuori, perché impossibile entrare, tanta è la calca). C’è chi preferisce una puntata agli scavi che hanno dato alla luce quel che resta della piscina di Siloe. Qui Gesù ha sanato il paralitico che da trent’otto anni aspettava l’aiuto di qualcuno per essere tuffato in quelle acque salutifere (probabilmente l’acqua vi scorreva con un flusso intermittente; la gente attribuiva il “moto dell’acqua” ad un intervento angelico). «Vuoi guarire?», chiese Gesù. La risposta del paralitico: «Come posso se nessuno mi aiuta ad immergermi nell’acqua?». Qualcuno ha letto in questo episodio la propria esperienza e il proprio bisogno di essere soccorso. Per verità l’aiuto è venuto.
Lì accanto, la tradizione indica il luogo dove sorgeva la casa di Gioacchino e Anna, i genitori della Madonna. Entriamo nella chiesa eretta in epoca crociata, l’unica rimasta intatta. Inconfondibile lo stile, austero ed elegante. È celebre per la sua acustica. Ha provato a cantarvi anche Andrea Bocelli… Non rinunciamo anche noi ad eseguire un canto a due voci. Prima ha cantato un coro di coreani; tra loro un tenore con una voce con notevolissima estensione. Qui non si canta per esibirsi, ma per dare lode a Dio e fare omaggio alla Madonna. Finisce così il nostro cammino in Gerusalemme.
Sulla via del ritorno facciamo tappa ad Emmaus Nicopolis (diversi i siti che rivendicano di conservare la memoria della cittadina “distante 11 chilometri da Gerusalemme”), dove due discepoli vengono raggiunti da Gesù mentre sono in uscita dalla città santa.
La raccomandazione che ci facciamo è di terminare il pellegrinaggio “in salita”. Quello che ci aspetta è tutt’altro che un’appendice del viaggio. Proviamo insieme e da soli a rispondere alla domanda: che cosa è cambiato in noi dopo questi giorni di cammino in terra di Gesù? C’è il tempo per uno scambio e una comunione d’anima.
È l’ascolto della parola che fa riconoscere la presenza di Gesù Risorto. Così è stato per i due viandanti di Emmaus: il loro cuore ardeva nell’ascolto delle sue parole e i loro occhi si sono aperti mentre spezzava il pane. È stato così per i pescatori sul lago. È stato così per Maria di Magdala: aveva scambiato Gesù per il custode del giardino. Quando Gesù la chiama per nome, lo riconosce.
Lasciamo Emmaus Nicopolis con questa risoluzione: ascoltare e vivere la parola, partecipare alla “frazione del pane”, per fare ogni volta la scoperta che Gesù è vivo ed è vicino.