Omelia XXVII Domenica del Tempo Ordinario
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Chiesa dei Cappuccini (RSM), 4 ottobre 2015
Tengo sul comò un’unica fotografia. Mi è particolarmente cara. Talvolta mi sorprendo a contemplarla in silenzio. Raffigura mamma e papà, ancora piuttosto giovani, con noi cinque fratelli. Io sono il più piccolo, seduto sulle ginocchia di Armando. Istintivamente sento unica, solida e affettuosa la nostra famiglia, come se esistesse da sempre (fatico ad immaginare mamma e papà nella loro famiglia d’origine) e sento me, inimmaginabile fuori da quello spazio. Eppure la mia famiglia ha avuto un’origine, ha conosciuto l’incertezza dei primi passi, ha scricchiolato sotto i colpi delle prove che non sono mancate. Mi sono fatto raccontare tante volte da mamma e papà il loro primo incontro, la prima dichiarazione d’amore, il giorno delle nozze… Il vangelo di questa domenica, riletto insieme alla meravigliosa pagina della Genesi che l’accompagna, illumina la storia della mia e di ogni famiglia. Tutto parte da una parola di Dio: Non è bene che l’uomo sia solo. Il male originale, dunque, il primo che appare sulla terra prima ancora del peccato, è la solitudine. Perché non c’è nessuno che basti a se stesso, nessuno che possa essere felice da solo. Neppure il paradiso è sufficiente e basta! Per questo Dio dice: farò un aiuto… E questo aiuto è Eva per Adamo, data nel sonno perché è un dono, tratta dal fianco perché pari nella dignità e ineffabilmente attraente. Insieme sono chiamati ad un amore per sempre. All’inizio, prima della durezza del cuore, era così. Poi, con la durezza del cuore, sono venuti i distinguo, le concessioni legali, i ripudi legittimati… Ma Gesù fa agli sposi il dono del matrimonio, sacramento di salvezza. L’amore umano viene consacrato da Gesù e riconsegnato con un valore aggiunto per essere segno dell’amore tenero, fedele, indissolubile di Dio. All’inizio è detto che i due sono una carne sola, perché l’amore porta ad assumere la vita dell’altro come propria. L’amore non è solo perdersi per l’altro, ma è anche pienezza, fino a dilatarsi e a vivere come propri la vita, i sogni, la creatività dell’altro: fedeltà e fecondità che non tarpano le ali e non permettono di appassire, al contrario della rosa recisa e troppo serrata in grembo!