Omelia XXIX domenica Tempo Ordinario
Dogana (RSM), 18 ottobre 2020
S. Cresime
Is 45,1.4-6
Sal 95
1Ts 1,1-5
Mt 22,15-21
Tenete conto, ragazzi e adulti, che siamo nel Cenacolo. Lo Spirito del Signore mette nel nostro cuore non parole, ma sentimenti di fede, desideri di essere come ci vuole Gesù.
Per capire questa pagina di Vangelo bisogna avere chiaro il quadro della società e della cultura al tempo di Gesù. La Palestina è una provincia dell’Impero Romano. Da una parte c’erano i Romani con l’imperatore. Cesare è il nome del primo degli imperatori, appellativo che i successori si attribuiranno (anche l’imperatore del Sacro Romano Impero si chiamerà “Cesare”, in tedesco “Kaiser”, in russo “Zar”). In questo contesto, quando diciamo “Cesare” intendiamo il potere costituito. Dall’altra parte, nella società giudaica, c’erano i farisei, gli scribi, i sacerdoti, che mal sopportavano la presenza dei Romani. C’era poi un gruppo, gli Zeloti, che erano agguerriti contro i Romani. Spesso, come in questo caso, i farisei e gli scribi si servono degli Erodiani, vicini al re Erode, un re “fantoccio”, subalterno ai Romani. Si vuole mettere in difficoltà Gesù: questa è la prima di quattro inchieste: «Chi comanda in Palestina? Comanda l’imperatore o comanda Dio?». Era una domanda cattiva, perché costringeva Gesù a prendere una posizione. Se avesse detto: «Comandano i Romani», gli Zeloti si sarebbero infuriati. Se invece Gesù avesse detto il contrario, avrebbe delegittimato l’occupazione straniera. Gesù dà un colpo d’ala al discorso: «Restituite a Cesare quello che gli compete». Non “dare” a Cesare, ma “restituire” a Cesare quello che è di Cesare (è così nella lingua greca). Che cosa dà Cesare? Le strade, gli ospedali, le scuole, le palestre… Gesù dice: «Pagate le tasse; se siete miei discepoli non potete essere “ladri” usando il bene comune senza contribuire». Poi, Gesù dice: «Restituite a Dio quello che è di Dio». A Dio appartengono il nostro cuore, la nostra intelligenza, la nostra volontà, la nostra persona. Nessuno può pretendere di possedere un altro, di usarlo come gli pare e piace, perché noi apparteniamo al Signore. Siamo figli. Ad un certo punto Gesù dice: «Datemi una moneta». Il tributo era, in fondo, una cifra risibile. A Gesù viene data la moneta ed egli dice: «Di chi è l’immagine?». «Di Cesare». «E l’iscrizione?». Dietro la moneta c’era scritto: «divino imperatore». Gesù ridimensiona subito: di divino c’è solo Dio. Lui è la divinità. In questo momento Gesù dice a tutti noi, in modo particolare a voi che state per ricevere la Cresima: «Avete impresso nel vostro cuore l’immagine di Dio». Dio ci ha creato «a sua immagine e somiglianza» (Gn 1,26). L’iscrizione che portiamo è quella del santo Battesimo. Da quando siamo stati battezzati quell’immagine è stata rinnovata: siamo tesoro di Dio, la sua moneta preziosa, una moneta viva, che vale molto più dell’oro e dell’argento: «Tu sei prezioso ai miei occhi – dice il Signore – e io ti stimo (cfr. Is 43,4)».
Cari ragazzi, tra un istante vi chiederò se siete disposti davvero a credere in Dio, in Gesù, nello Spirito Santo, nella Chiesa. Risponderete forte e chiaro: «Credo». Poi stenderò le mani su di voi: un gesto antico, carico di significato, per chiedere allo Spirito di Dio di scendere su di voi. Lo Spirito verrà con i suoi doni, che ben conoscete. Dopo passerò da ciascuno di voi intingendo il pollice su un profumo mescolato con olio, il crisma (da cui la parola “Cristo”, “cristiano”, che vuol dire “unto”, “profumato”) e traccerò sulla vostra fronte un segno. Sentirete subito il profumo; poco dopo non sentirete più la sua fragranza, ma il segno rimane, invisibile e incancellabile, paragonabile ad un bacio che Gesù Cristo imprime sulla vostra fronte. Domattina, svegliandovi, ricordate il bacio di Gesù: un bacio vale più di molte parole.
Vi darò poi un piccolo “buffetto” per dire: «Tocca a te, cammina!». Quel gesto mi fa pensare alla pagina della Bibbia che racconta la storia di Sansone. Ci voleva un assalto definitivo contro i Filistei. Sansone cattura delle volpi, le chiude in un serraglio, ad ogni coda lega una torcia, dà fuoco alla torcia e spalanca le porte del serraglio. Le volpi partono a tutta velocità e vanno ad incendiare i campi di grano dei Filistei (cfr. Gc 15,4-8). Ovviamente l’incendio a cui vorrei invitarvi è un incendio d’amore, di bontà… a scuola, in palestra, in famiglia. Senza farsi vedere: «Non sappia la destra quello che fa la sinistra» (Mt 6,3). Mi incanto al pensiero di vedere voi ragazzi come dodici volpi che verranno sguinzagliate e accenderanno di amore chi incontreranno. Ricordate il detto di Gesù: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Il fuoco dell’amore.