Omelia XIII domenica del Tempo Ordinario
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Romagnano, 1 luglio 2017
Pellegrinaggio marina dei “primi cinque sabati del mese”
Mt 10,37-42
(da registrazione)
Proseguiamo nella pratica dei “primi cinque sabati del mese”. La Madonna, attraverso questa sequenza di cinque sabati, vuole stringerci sempre più forte a Gesù.
Ringrazio don Ezio Ostolani e i fedeli di Romagnano che ci hanno ospitato. Essere qui stasera è una grazia. Come abbiamo cantato nel Salmo 88, siamo qui per «cantare per sempre l’amore del Signore». La nostra vita ha come scopo la dossologia, cioè la lode e il ringraziamento. Così riportava il Catechismo: «Dio ci ha creati per amarlo, servirlo, lodarlo in questa vita e per goderlo nel Paradiso». Questo è il principio e il fondamento di tutta la vita cristiana: essere per la lode di Dio. Si diventa “voce” di tutte le creature che lodano il Signore.
Apriamo il Vangelo. Questa sera, in realtà, il Vangelo “apre” noi, perché ci inquieta. Quando ci si raduna per la lettura del Vangelo, se si esce un po’ turbati e scossi vuol dire che la Parola di Dio ha raggiunto il bersaglio. Quando invece si esce dalla porta della chiesa senza un interrogativo, senza una perplessità, senza un dubbio, vuol dire che la Parola di Dio è spiovuta su di noi, ma è scivolata via. Abbiamo bisogno che il Vangelo ci scuota con la sua forza dirompente.
Nel Vangelo di questa domenica incontriamo dieci frasi introdotte da un “chi”, pronome relativo. «Chi ama padre o madre, chi ama figlio o figlia…» (Mt 10,37). Si possono dividere in due gruppi. I primi cinque “chi” riguardano le condizioni richieste a chi è discepolo di Gesù. Vuoi essere discepolo di Gesù? Sappi che è una cosa seria. Anche se si è deciso da tempo di esserlo, nel percorso arriva sempre un momento in cui Gesù ci provoca a fare un passo; qualche volta arriva a chiedere anche l’eroismo.
Personalmente, mi sento di affrontare i cinque “chi” che sono le condizioni per essere veri discepoli di Gesù soltanto nella preghiera. Quello che chiede il Signore è molto impegnativo. Egli non vuole dei discepoli “con riserva”, dei discepoli “part-time”. Egli non vuole molto da me, vuole tutto. Magari ho un cuore piccolo, una mente piccola, non importa; Gesù vuole semplicemente tutto. Almeno come tensione, come desiderio. Si sa che scivoliamo tanto facilmente nelle nostre fragilità.
Passo alla seconda sequenza di “chi”. Siamo alla fine del cap. 10 di Matteo, il capitolo dedicato agli araldi del Vangelo. Gesù dedica le ultime battute a far sì che sappiamo essere accoglienti con chi viene ad annunciarci il Vangelo. Chi è il messaggero del Vangelo? Sicuramente il nostro parroco, quando passa di casa in casa a benedire le famiglie, o quando viene a far visita ad un ammalato, oppure quando viene a portare la Santa Comunione, il primo venerdì del mese… E poi, chi ci annuncia il Vangelo? La persona che mi porta una testimonianza, la persona che, vedendo in me un fratello o una sorella, mi accoglie. Il secondo grappolo di frasi introdotte dal “chi” riguarda questa capacità: la generosità di saper accogliere i messaggeri del Vangelo.
Nell’Antico Testamento abbiamo sentito parlare della donna Sunammita, una donna illustre e facoltosa, che accolse il profeta Eliseo e venne ricompensata. In quel caso la ricompensa fu che ebbe la possibilità di concepire un figlio, ma sono tante altre le ricompense che il Signore può dare, inimmaginabili. Ad un sacerdote il Signore dona una paternità grande, vera, non simbolica, ed anche a chi è vicino ai sacerdoti. Penso alla mia famiglia che inizialmente era molto chiusa e, quando a mio fratello sacerdote è partito missionario, si è allargata e ha adottato persone che mai avremmo potuto immaginare di conoscere.
C’è una frase che appartiene al primo grappolo di “chi” che merita una spiegazione in più.
«Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10,38). Cosa vuol dire prendere la propria croce? Sono stati spesi fiumi di inchiostro su questa frase originalissima. Nessuno osò parlare di croce prima di Gesù. Erode aveva abolito la crocifissione per l’eccessiva crudeltà; poi suo figlio la reintrodusse e toccò a Gesù.
Quando Gesù parla di «prendere la croce» non intende martirizzare i suoi discepoli, anzi, li vuole felici. Gesù vuol dirci che la croce è un segno di vittoria. «Prendere la croce» significa credere che l’amore vince, che si trova la vita donandola, che quando si spende la vita per gli altri, per la famiglia, per la diocesi, la si salva. Il Signore dice ad ognuno di noi: «Prendi la croce, non aver paura, è un segno di vittoria. Io ne ho portato il peso, a te do il gusto di sapere qual è il suo vero significato». Così sia.