Omelia V Domenica del Tempo Ordinario
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cappella dell’episcopio, 7 febbraio 2015
Lo scenario non è più la sinagoga, ma una casa normale, come le nostre. È bello vedere con quale disinvoltura Gesù passa da un luogo all’altro, con la stessa sacralità. Nel primo ascolta la Parola e canta le lodi di Dio, nel secondo dà spazio e tempo all’amicizia, al riposo ed alla convivialità. Come nelle nostre case, in quella di Simone non c’è profumo d’incenso, ma rumore di pentole, odore di vivande sul fuoco e preoccupazioni. E, in un luogo e nell’altro, compie prodigi, segni del Regno di Dio presente che, come lievito, fermenta e, come luce, dà vita al quotidiano.
Gesù dunque entra nella casa di Simone forse per mangiare e stare un po’ in pace. Ma non fa in tempo a varcare la soglia che subito gli presentano il caso della suocera di Simone che è a letto con la febbre. La prima lettura, riferendoci le parole di Giobbe, descrive con efficacia la nostra fragile condizione di uomini: Notti di dolore mi sono state assegnate. Se mi corico dico: quando mi alzerò? I miei giorni sono stati più veloci di una spola, sono finiti senza speranza.
Dal racconto di Marco sembra che Gesù, senza indugiare, rinunci al meritato riposo per andare immediatamente al capezzale della suocera di Simone a guarirla. È un miracolo piuttosto povero di spettacolarità, dove Gesù neppure parla. Ma parlano i suoi gesti. Gesù si avvicinò: va verso il dolore, non lo evita, si immerge negli occhi di quella donna. Le prese la mano: gesto di confidenza e di affetto, forza per chi è stanco. La sollevò: la riconsegna alla propria andatura eretta, alla fierezza del servire. La mano di Gesù viene ogni giorno, come una buona notizia (forse inattesa), quando una parola, un incontro, una telefonata riaccendono la speranza e incoraggiano. La mano che solleva incoraggia a fare altrettanto e dice: prendi anche tu qualcuno per mano, solleva e guarisci, mettiti a servire. Il servizio è segno di una esistenza sanata. Un apologo famoso dice: un uomo passa per la strada, vede un bambino che muore di fame, e grida al cielo: “Dio, che cosa fai per lui?” E una voce risponde: “Io, per lui, ho fatto te…”.
Gli apostoli dicono a Gesù: Maestro, tutti ti cercano, resta! Gesù taglia corto: Andiamocene altrove. Non è un guaritore, né un luminare che fonda cliniche per pochi. Mi sono fatto tutto a tutti – scriverà un giorno l’apostolo Paolo – per salvare ad ogni costo qualcuno. Gesù se ne va per altri villaggi, in cerca di altre mani da sollevare. Prego: «Maestro della vita, mano che solleva, è difficile essere cristiano, ho in me febbri e demoni, non so se ce la faccio. Ma cercherò di rimettere in piedi quei fiori calpestati che sai. Però tu avvicina quella mano che non hai mai smesso di tendere, avvicinala ancora un po’, prendi la mia, sollevami. E con te andrò incontro all’uomo e a Dio» (E. M. Ronchi).