Omelia Prima Domenica di Quaresima

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

San Leo, 22 febbraio 2015

10° anniversario della morte di don Giussani

 

Gen 9,8-15
Sal 24
1Pt 3,18-22
Mc 1,12-15

1.
Cari amici,
don Giussani vi appartiene e non vi appartiene esclusivamente.
Vi appartiene perché siete frutto della sua adesione al disegno di Dio, nati dal suo “sì”, suoi eredi e portatori del suo carisma nella Chiesa.
Non vi appartiene esclusivamente, perché don Giussani è della Chiesa; è un dono che Dio ha fatto a tutti e tutti ne godiamo. Anche chi non l’ha conosciuto, e forse non si accorge di come il suo carisma sia penetrato, lo saluta e lo festeggia come servo di Dio.

2.
Grazie per il cortese invito rivoltomi a vivere con voi questo momento – il decimo anniversario della sua nascita al Cielo – e, in vostra compagnia, entrare nel grazie che Gesù Cristo dice al Padre con l’offerta della sua vita. Eucaristia: parola piena di luce!
Attratti da Cristo, fatti una cosa sola con lui, ritroviamo il nostro destino e la nostra destinazione ad entrare nel seno del Padre.
È il nostro essere “movimento” nel senso più vero.
E non potremmo farlo, e neppure immaginarlo, se non fossimo presi dallo Spirito Santo, come Elia sul carro di fuoco. Audacia inaudita la nostra: cose grandi, eppure a noi destinate.
Il senso ultimo della nostra esistenza è la dossologia. «Ci ha fatti per te, Signore». E l’inquietudine che sperimentiamo è sintomo dell’infinito a cui siamo chiamati.
Ognuno di noi, creato in Cristo, cammina su un raggio e in questo camminare incontra altri e insieme – ciò che sale converge – diventiamo popolo di Dio, partecipi e appartenenti al mistero che è la Chiesa.

3.
A noi che vorremmo abbracciare tutto e tutto in una volta e tutti insieme, il mistero di Cristo ci è dato di viverlo distribuito nel tempo, precisamente nell’anno liturgico che è come un sacramento dell’incontro con Dio e non un semplice calendario, unità di misura, convenzione per scandire stagioni e giorni. Per questo ci mettiamo alla scuola della liturgia della Chiesa, austera e scintillante ad un tempo, in Quaresima come non mai. Nel cuore della liturgia non c’è un “tema”, ma il Cristo Risorto. Non abbiamo nulla da creare, ma tutto da ricevere. In questo senso la liturgia non ci appartiene, semplicemente vi entriamo con tutta la nostra verità di peccatori, ma figli; con la nostra realtà: corpo, anima, cuore, pensieri, gesti, baci, silenzi e canti, ecc.
Siamo entrati in Quaresima: 40 giorni che poco a poco sono andati caratterizzandosi prima come tempo catecumenale (preparazione al Battesimo), poi come “ordo poentientium” (riammissione alla piena comunione con la Chiesa) e infine, tempo di rinnovamento per tutti. Tempo orientato alla Pasqua, perché la Pasqua di Gesù ci pervada interamente e ci renda “nuovi”. Abbiamo pregato così: “Concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo”. È l’augurio che Paolo rivolgeva ai Filippesi: «Conoscere Lui e la potenza della sua risurrezione» (Fil 3,10).

4.
Prendo da don Giussani alcuni suggerimenti a questo proposito: “La meditazione sulla liturgia è meditazione su un discorso educativo. Quindi è tanto più valida quanto più coglie la parola che la Chiesa ci vuole dire in quel particolare momento dell’anno. Perciò, se è vero che si può restare colpiti di fronte ad una frase o ad un’altra del testo liturgico, dobbiamo essere attenti a non ridurre la ricchezza di questa meditazione ad una cernita di frasi (…). Spesso – continua don Giussani – è stata operata tale riduzione: si è cioè trattata la Bibbia che è la storia di Dio nel mondo, come fonte di belle frasi – giuste e profonde – ma si è lasciato da parte il contesto, cioè il vero discorso di Dio. Così abbiamo ridotto la Bibbia a sostegno dei nostri ideali morali” (L.Giussani, La liturgia vissuta. Una testimonianza, JacaBook).
Al capitolo 2° della mia lettera pastorale alla diocesi indico una modalità semplice, ma sperimentata, di lettura popolare del Vangelo. Scrivo delle “3 effe”: effe come f-rase, effe come f-rutti; effe come f-atti. L’intenzione non è quella di collezionare belle massime – come si fa coi francobolli di San Marino – per accarezzare nostri estetismi spirituali o selezionare frasi in modo accomodatizio ai nostri gusti, alla nostra sapienza. Faccio tesoro dell’osservazione di don Giussani e rilancio questa modalità di lettura del testo sacro per condurre il lettore-discepolo a cogliere la potenza creatrice racchiusa nella Parola. Come la presenza di Cristo è nel Pane consacrato ed in ciascun frammento, così Cristo è presente in ogni sua Parola, con la forza germinativa e il fascino del suo amore. Davanti ad ogni frase siamo provocati ad una sfida, a scommettere sulla sua verità e a condividerne i frutti. Come la Parola pronunciata sul Pane lo trasforma in Eucaristia, così la Parola pronunciata e accolta su di noi ci fa suo corpo mistico, Chiesa. E la comunicazione – testimonianza delle esperienze, poco a poco, crea il presupposto per un sociale cristiano. Vivere la Parola, coglierne i frutti, narrare le esperienze, è da vivere come la via che il Signore percorre verso di noi e con noi e non tanto la nostra verso di Lui! “La sua storia con noi”. “Tutti i sentieri del Signore – abbiamo cantato – sono amore e fedeltà”.

5.
Questo non accade magicamente. È chiesta vigilanza: cogliere il tempo favorevole, questo!
Don Giussani chiama tutto questo “occasione”. “E l’occasione è la parola che ci viene rivolta e che l’ora dopo potrebbe non esserci riofferta” (op. cit.).
La Parola oggi ci dice che Gesù viene sospinto (cacciato) nel deserto, come se dovesse vincere una resistenza. E in effetti il deserto è un luogo aspro e inospitale, che disorienta e mette paura; esposto alle imboscate delle fiere e dei predoni.
Gesù ci andò e vi rimase 40 giorni; non scappò!
Lasciamoci sospingere dallo Spirito nella Quaresima, anche se sarà tempo di lotta. La menzione delle fiere, propria del Vangelo di Marco, viene da alcuni esegeti interpretata come descrizione di Gesù nuovo Adamo. Il nuovo Adamo, a differenza del primo, è obbediente. Ma le fiere possono essere interpretate anche come il segno di una realtà avversa.
“Gesù stava con le fiere”, ha imparato a viverci insieme. “Aiutaci, Signore, ad imparare a stare come te con gli animali feroci, ad abitare cioè la realtà, bella o brutta che sia, senza scorciatoie e senza evasioni, con coraggio e fiducia, servito dagli angeli, cioè illuminato e sostenuto dalla tua Parola”.
«Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo». Prima parola – secondo Marco – uscita dalle labbra di Gesù, un invito non tanto a raddrizzare la condotta morale – pur necessario e utile – ma a convertirsi verso di Lui. La parola “conversione” qui appartiene più all’escatologia che all’etica. Il tempo è compiuto. La bella notizia: Cristo! “Salvezza avvenuta”. Una misura nuova è entrata nel mondo, una proposta nuova nella vita.