Omelia per professione religiosa di Suor Francesca Serreli
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Santuario della Beata Vergine delle Grazie di Pennabilli, 11 Aprile 2015
At 4,32-35
Sal 117
1Gv 5,1-6
Gv 20,19-31
È per cantare il “per sempre” dell’amore del Signore che ci troviamo insieme qui, questa sera, avvolti ancora dal fulgore della Pasqua. E per quale altro motivo Francesca celebra insieme a noi la sua professione religiosa, se non per l’attrazione fatale di un “per sempre” sussurrato nel suo cuore da chi promette di esserle sposo? Uno sposo come nessun altro!
Un progetto chimerico quello di Francesca di sposare il Signore? Ma è il Signore, veramente risorto e vivo, palpitante e disponibile, che ha preso l’iniziativa!
Un progetto ambizioso? Francesca conta sulla fedeltà dello sposo che l’ha sedotta e che non tradisce.
Un progetto di fuga dalla realtà? Al contrario, Francesca vuole andare in profondità dove affondano le radici dell’umano: verità, bellezza, bontà.
Un progetto da navigatrice solitaria? No, Francesca non si avventura sola. Si incammina sostenuta da sapienti guide, in compagnia di una vera e nuova famiglia, incoraggiata da tutta una Chiesa (la nostra!) che, a sua volta, riprende fiato e si mette in gioco per la forza di quel “per sempre” testimoniato da Francesca.
È significativo che celebriamo la professione religiosa ai Primi Vespri della Domenica di Tommaso (Domenica in Albis, oggi – ci piace sottolineare – e della Divina Misericordia). Un incontro – quello con Tommaso – che aspettiamo ogni volta con meraviglia e curiosità, che ritorna nella sequenza dei Vangeli festivi nella Seconda Domenica di Pasqua.
Tommaso è incredulo: c’è bisogno della mano forte di Gesù, perché il suo dito penetri nella profonda fessura sul petto squarciato. A Tommaso è chiesto di sperimentarne la realtà, il calore, l’umidità e di vincere il naturale ribrezzo per una piaga aperta, sia pure la più santa.
Ma non sono in sofferenza anche gli altri dieci apostoli?
Gli eventi succedutisi nella tremenda settimana della Passione hanno scioccato i discepoli, al punto da prendere la risoluzione di chiudersi a doppia mandata nel Cenacolo. Per paura, non per devozione! Comprensibile paura: avevano riposto fiducia in Gesù. Eccolo, il loro maestro, ucciso come il peggiore degli impostori. Non avevano motivi sufficienti per dubitare? Sulla tomba i loro cuori avevano già scritto la parola “fine”. Ma poi arriveranno ad arrendersi al Risorto.
Ciò che li schioda dai loro dubbi non sono tanto le prove; le prove non bastano mai. Ciò che fa superare il dubbio è l’esperienza dell’incontro con Gesù. L’incontro, più che “verificarlo”, lo “vivi”. Ti coinvolge. L’incontro appartiene all’esperienza: sono coinvolti pensieri, sentimenti, sguardi, passi concreti, parole, silenzi… Quando Gesù – otto giorni dopo – invita Tommaso a non essere incredulo, non pretende l’assenza completa del travaglio. Gli chiede solo di lasciarsi andare, di sciogliere gli ormeggi, di “abbandonarsi”.
A volte – permettete la confidenza – sussurro a me stesso: allorché ho creduto, mi è forse mancato qualcosa? Nulla! E voi, che ne dite?
Mi rivolgo a voi giovani presenti, a voi che avete di fronte le grandi scelte della vita: che cosa vi trattiene dal pronunciare il vostro “sì” al Signore che dolcemente vi invita?
Il restare senza amore? “Senza amore non si può vivere”. Avete ragione, ma qui c’è l’Amore stesso che si concede, con la promessa di una comunità dove si sperimenta d’essere «un cuor solo ed un’anima sola, dove nessuno considera suo quello che gli appartiene, ma tutto è comune» (cfr. At 4,32). Chi è con Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede.
A Francesca viene consegnato il velo, segno di consacrazione e di esclusiva appartenenza al Signore; il Signore non ammette altri pretendenti.
Il significato del velo è evidente. Santa Gertrude si preparava a riceverlo con queste parole: “O mio diletto, fammi riposare all’ombra della tua carità… lì riceverò dalle tue mani il velo della purezza…”. Sublime vocazione. La consacrata nella verginità vuole essere tutta di Cristo, si sottrae allo sguardo di altri possibili pretendenti e amanti. Vive nel chiostro – sulla rupe – per essere sempre sotto lo sguardo del suo sposo e piacere a lui solo. Il velo è una specie di clausura nella clausura. Non ha nulla di opprimente. È molto amato dalle nostre sorelle e devotamente portato. Lo baciano quando l’indossano e quando lo tolgono.
Il velo è anche il segno del pudore che la protegge per il suo sposo: «Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo… Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, sorgente chiusa, fontana sigillata» (Cant 4,1.12): ammirazione e commosso stupore dello sposo davanti alla promessa sposa tutta raccolta e rivestita di umile e delicato riserbo.
Alla sensibilità del nostro tempo non è facile comprendere questa consuetudine monastica. Il velo appare piuttosto come segno della sottomissione. Ma la monaca vive in modo sublime un mistero nuziale e materno sul piano soprannaturale. Il velo indica la generosità e l’intensità con cui fa dono di se stessa a Dio per tutti, rimanendo nascosta – sì – per essere di tutti. È come se il Cielo si curvasse su di lei per avvolgerla nell’intimità del cuore di Cristo. A somiglianza della Vergine e Madre di Dio vive le parole dell’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra» (Lc 1,35).
Il velo è testimonianza (martirio), perché segno di una vita interamente donata, ma anche segno regale perché la Vergine è sposa del Re, da lui coronata, avvolta nel suo manto.
Nella tradizione Maria è sempre raffigurata col velo, spesso un velo che scende lungo tutta la sua persona e avvolge il Figlio e tutti noi suoi figli.
Suor Francesca portaci nella tua preghiera.