OMELIA PER LA VEGLIA PASQUALE

Lasciarsi trasformare

20 aprile, Cattedrale di Pennabilli

 

Lasciarsi amare.

Lasciarsi amare da un Dio che s’è fatto vicino, perché perdutamente innamorato (non c’è altro motivo); un Dio che si piega a lavare i piedi alla sua creatura. E’ un’esigenza del suo amore intrattenersi in una relazione d’amore con noi, come sposo dolcissimo.

Lasciarsi salvare.

Lasciarsi salvare: sappiamo tutti quanto è corto il nostro fiato, quanto in salita la strada, quanto buio l’orizzonte, quanto ardua l’impresa dell’esistenza. Lui non umilia, non interviene dall’alto; condivide la nostra condizione, si mette, anzi, al disotto di noi, dalla più scomoda delle posizioni, quella dell’innocente condannato a morte. Si passa da morte a vita quando si ama (cfr. 1 Gv, 3-14): ecco il segreto, la formula che ci salva. Non il dolore, ma l’amore: il suo.

Lasciarsi trasformare.

Lasciarsi trasformare: Cristo ci vuole come altrettanti “Lui”. Come Lui amanti. Come Lui amanti salvati e salvatori a nostra volta. In questa notte abbiamo vissuto l’esodo, in cammino dietro una colonna di fuoco (il cero pasquale). Ecco la prima trasformazione: non più schiavi, ma liberi.

Abbiamo ascoltato squarci di storia della salvezza; quella storia ci racconta che siamo stati creati a sua immagine, immagine indistruttibile anche se deturpata dall’infedeltà, ma poi resa ancor più splendente. E’ la seconda trasformazione: cuori di pietra in cuori di carne, perché appaia che siamo fatti di cielo.

L’annuncio della resurrezione di Gesù ci assicura che anche per noi c’è un destino di “vita per sempre”. Cristo è risorto! Noi siamo risorti con lui! L’acqua del Battesimo – che tra poco scorrerà abbondante da questo tempio – significa morte e vita. Le tre immersioni nell’acqua battesimale significano i tre giorni di Cristo nel sepolcro e poi lo splendore del terzo giorno: la resurrezione. E’ la terza trasformazione: da morituri a immortali! Evviva il Battesimo di cui in questa notte rinnoviamo le promesse.

Ancora un passaggio, un passaggio inebriante: “Prendimi, mangiami. Sono risorto e sono sempre con te. Mangiami: io in te, tu in me, in reciproca immanenza. Ma non sei tu a trasformarmi. Io ti trasformo in me”. E’ una quarta trasformazione: noi in lui, per il corpo di cui ci siamo nutriti.

Il diacono ci congeda e ci riconsegna alla nostra responsabilità di vivere nel mondo: «la messa è finita andate in pace». Un congedo accompagnato da festosi, perentori «alleluia». La liturgia è terminata; inizia la nostra messa nella vita. Il diacono ci ricorda che il donarsi di Gesù, il suo perdersi per amore, è ceduto a noi. Il Signore ci dona il suo donarsi, perde il suo perdersi. E’ la quinta trasformazione. Ci trasforma in sua Chiesa, suo corpo per la salvezza del mondo.

Trasformazioni mistiche? Ma la vita cristiana non è etica, prima di tutto è mistica.