Omelia per la Professione Perpetua di Suor Maria Vera

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Convento di San Lazzaro (Ponte Cappuccini), 4 settembre 2016
Professione perpetua di Suor Maria Vera

1.

Cara Suor Vera, viviamo con te questo momento speciale in cui la percezione del Regno si fa più travolgente, un avvenimento del quale il cuore è inebriato. Non hai avuto paura di Gesù. Al contrario. I suoi occhi, il suo cuore, il suo programma, ti hanno affascinato. Sei pronta a seguirlo fino alla follia perché l’amore non ha mezze misure.
Ci siamo anche noi con te. Ti accompagniamo. Diciamo anche noi con te il nostro sì al Signore. C’è sicuramente tra noi chi sta compiendo passi decisivi dietro al Maestro, passi che compromettono, passi in salita, passi faticosi. Il tuo sì, i nostri sì, uniti insieme nel sì della Chiesa tutta…
Come vedi l’avventura che suggelli con la professione perpetua è profondamente ecclesiale. Per vari motivi.
Ecclesiale perché la Chiesa l’accoglie, l’approva, la benedice e la fa sua. Accogliendola, in questo momento, torna a domandarla a ciascuna delle tue sorelle e a ciascuno di noi fratelli e amici, chiamati ad una radicale sequela di Gesù, con dedizione totale.
Ecclesiale perché il tipo di vita a cui sei stata chiamata è segno della Chiesa: Chiesa sposa, Chiesa Madre… Segno di una Chiesa che sa di essere povera perché non possiede altro che la Parola di Dio e il Sacramento di Cristo, che vuole andare ai poveri, condividerne la condizione, promuoverli umanamente, elevarli spiritualmente; che vuole annunziare soprattutto l’Evangelo della misericordia. Quanta vita, quante vite, quanta storia, custodisce questa casa. Se le pietre potessero parlare…
Ecclesiale, perché questo tipo di vita è strumento per la Chiesa. In te e attraverso te, nelle tue sorelle e attraverso le tue sorelle, la Chiesa può dedicarsi a quello che è più necessario: la preghiera, l’adorazione, l’intercessione. I Dodici istituirono i diaconi per il servizio alle mense per potersi dedicare – dice il libro degli Atti – alla preghiera e alla predicazione. Tu e le sorelle rappresentate al vivo questa priorità dell’essere stesso della Chiesa sposa, tutta e solo per il suo Signore e per tutto il tempo, in modo che abbia poi efficacia l’attività e fecondità il ministero della predicazione.
Ecclesiale ancora perché interpreta l’esigenza della missione della Chiesa. Ci deve essere, nella Chiesa, chi, ispirato da Dio, prega per gli altri, per quelli che non pregano, per quelli che non riescono a pregare. Ci deve essere nella Chiesa chi prega per amore, con amore, per l’amore. La preghiera salva, l’amore può tutto, la bellezza evangelizza.
Infine, ecclesiale questa vita perché gloria della Chiesa. In essa risplende il primato dell’amore e l’indissolubilità di azione e contemplazione.

2.

Seguiamo, in diretta, la lettura evangelica. C’è tanta folla attorno a Gesù, ma non si esalta per il numero, non cerca l’applauso della gente. Gesù si volta. Indirizza lo sguardo dritto negli occhi di chi gli sta di fronte. Cerca la totalità del cuore fosse anche solo da parte dei Dodici e, paradossalmente, cerca anche di meno: cerca il cuore di uno… di me, di te! Da uno che abbia, come Pietro, cuore e coraggio di ripetere: Tu solo, Signore, hai parole di vita!
Gesù detta le condizioni. Il suo linguaggio, solitamente amabile e solare, lascia di stucco: parla di urgenza, rinuncia, distacco… chiede di preferirlo a parenti e amici… Ancora: chiede di preferirlo persino alla propria vita… Infine chiede di portare la propria croce venendo dietro a lui… cioè, il massimo dell’amore. La scuola di Gesù è diversa da quelle rabbiniche del suo tempo. Alla scuola dei rabbi si andava per libera scelta per un percorso formativo; alla fine, constatato il profitto, si poteva diventare rabbi a propria volta. Non è così per i discepoli di Gesù: essi rispondono ad una chiamata profetica che li lega per sempre non solo all’insegnamento del maestro, ma alla sua persona e al suo destino. Si capisce allora l’esigenza di posporre i legami famigliari, richiesta inaudita nell’ambiente delle scuole rabbiniche. Si capisce soprattutto il vero significato dell’invito a portare la croce. L’evangelista Luca insiste sul valore permanente e quotidiano di tale realtà: il discepolo è indissolubilmente legato al destino del Crocifisso-risorto, e ciò implica comunione di morte e di vita con lui. Ognuno ha la sua croce, cioè sofferenze e prove di ogni genere; ma il contesto suggerisce una comprensione più radicale: la disponibilità a dare la vita per il Signore, fosse anche il martirio, comunque a lasciare tutto per il Tutto! Portare la croce non è sinonimo di passiva rassegnazione, appartiene alla definizione del discepolo di Gesù. Negli Atti degli apostoli viene ricordata l’esortazione di Paolo e Barnaba alle comunità appena evangelizzate: E’ necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio (At 14,22). Il senso è dato da Gesù stesso che ha aperto la via alla piena realizzazione attraverso il dono di sé. E’ la nuova scuola del discepolo.
Il discepolo di Gesù mette le esigenze dello stare con Gesù al primo posto, anche se comportano lacerazioni. Se capite male queste parole sono pericolose: fanno pensare ad un cristianesimo tetro, per sconfitti e deboli oppure da integralisti e “talebani”. Ma l’accento va posto sul verbo principale: essere discepolo (espressione che torna ben tre volte in poche righe, quasi un responsorio); il centro della frase non è sulla rinuncia, ma sulla conquista; non sul punto di partenza, ma sul traguardo. Non sui «no», ma sui «sì». Gesù non vuole tanto, vuole tutto!
La radicalità della sequela va compresa sullo sfondo della novità escatologica che Gesù sta inaugurando: il regno di Dio. A volte siamo condizionati da una lettura moralistica dei vangeli: ci fermiamo ai buoni sentimenti, alle belle parole… In verità il nocciolo della predicazione di Gesù sta nell’annuncio di un evento decisivo che sta per accadere gioioso e minaccioso a seconda di come ci si pone di fronte ad esso: coincide con la sua persona!
Tuttavia, la decisione di seguirlo non è irrazionale o emotiva. Prima – dice Gesù – siediti a ragionare, come i protagonisti delle due mini parabole conclusive. Senza riflessione, senza consapevolezza delle proprie inconsistenze, senza ascolto della Parola di Dio, senza preghiera e senza una comunità come si può anche solo immaginare una vita evangelica?