Omelia nelle Esequie di padre Mario Mattei

Secchiano (RN), 25 agosto 2020

Ap 21,1-5a.6b-7
Sal 26 (27)
Gv 11,21-27

1.
Siamo qui per pregare davanti al Signore della vita, il Risorto presente in mezzo a noi. Non dobbiamo mai tralasciare questa consapevolezza, perché il nostro ritrovarci sarebbe – come dice il profeta – una riunione di buontemponi (cfr. Ger 15,17) se non ci fosse la sua presenza tra noi. Veniamo da Lui subito introdotti a pensare al comune destino di risurrezione. «Io – dice Gesù – sono la risurrezione e la vita, chi crede in me non morirà per sempre» (Gv 11,25). Si è sbagliata Marta nel dire: «Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto» (Gv 11,32). Gesù non ha detto che non sarebbe morto, ha detto: «Non sarebbe morto per sempre, in eterno».
Preghiamo per padre Mario, che possa subito abbracciare il suo Signore, e chiediamo a padre Mario di intercedere per noi, per i suoi cari, per la sua mamma. Chiedo la sua intercessione per il dono di tante vocazioni.
La sua vocazione l’ha portato a lasciare presto il suo paese – Secchiano – e la sua Diocesi di San Marino-Montefeltro; era ancora un ragazzo. Come Abramo «partì senza sapere dove andava» (Eb 11,8).
Appassionato di storia e di cultura, padre Mario è stato un ricercatore, uno storico, un archivista dell’Ordine degli Agostiniani. Ha scritto e pubblicato molto. Apprezzato come educatore a Recanati, ad Ancona e a Bologna. Dal borgo di Secchiano a Roma fino ad essere custode dei “beni sacri” del Pontefice, come sagrista in San Pietro e nelle Cappelle private, tra cui la Cappella Sistina.

2.
Che cosa aveva appreso padre Mario da colui che è stato il suo maestro, sant’Agostino? Meglio di me lo saprebbero dire i suoi confratelli e anche le monache di Pennabilli che l’hanno avuto tante volte ospite e sempre amico. Mi hanno detto di lui: «Padre Mario era una persona mite, disponibile, cordiale e generosa. Ha saputo vivere la sua vita, segnata dalla malattia, senza mai rinunciare ad essere generativo, fino all’ultimo». Mi ha colpito molto l’uso di questo aggettivo – “generativo” – adoperato per un consacrato. E in effetti, il “sì” detto nella fede, davvero, è sempre generativo. È stato così con Abramo, ormai anziano e senza discendenza, è stato così per la fanciulla e vergine Maria di Nazaret. L’uno padre e l’altra madre di tutti noi credenti.

3.
Per parte mia, ho ritrovato il cammino umano e spirituale di padre Mario in questa pagina di sant’Agostino, che anche noi possiamo prendere come programma di vita: «Accade a ciascuno di essere portato là dove ha da portarlo il proprio peso, cioè il proprio amore. Chi poi ama il bene sarà trasportato verso ciò che ama. Desideri essere dov’è il Cristo?». «Ama Cristo – risponde sant’Agostino –, e da questo peso verrai trasportato dove si trova il Cristo. Ciò che ti trascina e ti rapisce verso l’alto non ti permette di cadere in basso. Non cercare nessun altro mezzo per salire in alto: amando fai leva, amando sei trasportato in alto, amando ci arrivi» (Sant’Agostino, Discorsi, 65/A, 1; cfr. Confessioni 13,9). Ecco la grande lezione di Agostino, fulminea come una freccia in questa espressione che tante volte sentiamo: «Ama e fa’ ciò che vuoi».

4.
La Parola di Dio ci ha aperto la visione del Cielo, là dove ci porta e ci attrae il nostro amore: il paradiso. La rappresentazione del paradiso è direttamente ispirata dal secondo capitolo della Genesi con l’immagine di un giardino lussureggiante dove tutto sarà donato in abbondanza. Il libro dell’Apocalisse ne parla come di una nuova Gerusalemme, dove Dio asciugherà ogni lacrima, dove non ci sarà più la morte né il dolore (cfr. Ap 21,4). Questi testi si esprimono con immagini, non sono dei reportages. E tuttavia sono importanti: tutte le raffigurazioni hanno in comune promesse di gioia e di pace e, soprattutto, della visione felice di Dio e della comunione con lui.
Sant’Agostino descriveva così il paradiso: «Vedremo. Ameremo. Canteremo» (cfr. La città di Dio, XXII, 30). Vedremo quel volto che abbiamo cercato e desiderato tutta la vita, oggetto della nostra implorazione: «Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7). Ameremo, perché siamo stati creati per questo. Là riconosceremo le relazioni – non più intaccate dall’impurità – che abbiamo costruito sulla terra; ognuno verso i propri cari, verso il grappolo di vita e di amici, tutti resi capaci di un amore sempre nuovo, perché di amare non si è mai sazi: «Quando dici basta, sei finito» (Sant’Agostino, Sermone 169). Canteremo per la gioia. Non ci sarà più limite di tempo e la gratuità non dovrà più guardarsi dai calcoli meschini di quaggiù.

5.
Ho chiesto alle monache di Pennabilli di indicarmi una caratteristica del sacerdozio di un Agostiniano. Mi hanno detto: «Nel presbiterio agostiniano tutti vivono da fratelli; impensabile una vita presbiterale che non sia comunitaria e fraterna. Così torna una frase di sant’Agostino: “Viviamo qui con voi e voi siete lo scopo della nostra vita: è nostro desiderio e impegno vivere insieme a voi costantemente nella Comunione con Cristo” (Discorso 355,1)».
Il presbitero agostiniano sa di essere chiamato ad una vita evangelica e di servizio, non solo attraverso il ministero, ma soprattutto attraverso la testimonianza di una vita tesa all’unità dove risplende «quanto sia bello e dolce che i fratelli vivano insieme» (cfr. Sal 133,1).
Chiedo a padre Mario di ottenere il dono di un presbiterio diocesano davvero risplendente per la fraternità e l’amicizia. Così sia.