Omelia nella XXXI domenica del Tempo Ordinario
Montegrimano Terme, 3 novembre 2019
S. Cresime
Sap 11,22-12,2
Sal 144
2Ts 1,11-2,2
Lc 19,1-10
(da registrazione)
Cari ragazzi,
inizio con una esperienza personale che forse vi farà sorridere. Anni fa, con un gruppo di giovani, sono stato in America per la Giornata Mondiale della Gioventù. In quei giorni siamo stati nella valle di San Francisco. Abbiamo potuto contemplare una delle meraviglie dell’America nella visita al Parco delle Sequoie. È difficile descrivere questi alberi giganti, se non con dei numeri. Molte sequoie arrivano a cento metri di altezza e al peso di parecchie tonnellate, paragonabile a quello di cinque grandissimi dinosauri. Pur mettendoci tutti in fila (eravamo quindici o sedici), uno accanto all’altro, non riuscivamo ad abbracciare un albero, tanto era grande. Eppure, quell’albero così grande è nato da un piccolo seme. Quell’altezza, quel peso, quella grandezza erano racchiuse in un piccolo seme. Accade per quell’albero, quello che accade a noi con il Battesimo. Quasi tutti, in questa chiesa, abbiamo ricevuto il seme del Battesimo. Domando a voi, ma per primo a me: in quale cassetto ho racchiuso quel seme? Perché non si sviluppa, non diventa gigantesco come sarebbe il suo destino? Se potessimo intervistare quel piccolo seme, lui ci direbbe che non desidera altro che svettare nel cielo più alto, nella valle di San Francisco, per guardare dall’alto la famosa prigione di Alcatraz.
Il mio augurio, cari ragazzi, è proprio questo: che il piccolo seme che è stato messo in voi il giorno del Battesimo si sviluppi, cresca, diventi quel che deve diventare.
Come possiamo fare?
Per prima cosa bisogna conoscere quel seme. Ecco perché, per molti anni, avete seguito un cammino di formazione. Pensate che ho steso un programma di formazione per i sacerdoti, anche per quelli più anziani. Siamo tutti discepoli (in lat. discipulus è colui che impara, che è nell’atteggiamento di lasciarsi ammaestrare). Dico ai miei sacerdoti: «Non possiamo essere maestri, se non siamo discepoli. Più siamo discepoli, più siamo maestri». Pertanto, la formazione continua. Spero che, dopo la Cresima, anche voi continuiate ad incontrarvi, magari con meno ansia e con metodi meno scolastici e più esperienziali. Durante l’adolescenza si muoveranno in voi non solo gli ormoni della crescita, ma tante domande, persino le più radicali: sull’esistenza di Dio, sul perché ci sono le guerre… e poi sui cambiamenti che avvengono dentro di voi e vi fanno provare sentimenti nuovi, inaspettati. Anche noi adulti abbiamo bisogno di formazione. Ad esempio, per martedì prossimo abbiamo chiesto l’autorizzazione al dirigente scolastico per far arrivare ai genitori delle Scuole Superiori e delle Scuole Medie di Sassocorvaro l’invito ad una serata dedicata al problema educativo, alla quale è invitato non solo chi solitamente frequenta la parrocchia, ma tutti i genitori, per fare con loro un patto educativo. Sarà una serata di riflessione in cui si potranno fare domande e ci si potrà confrontare. Nessuno, in realtà, ha la soluzione, ma è importante parlare della gioventù di oggi, tanto intelligente, con tante risorse e talenti, ma con modalità di espressione e modi di vivere che preoccupano. Il tema dell’incontro che si terrà alle ore 21 nel teatro di Mercatino Conca, sarà l’emulazione come risorsa educativa. Fin da quando si è piccoli si tende ad imitare, prima i genitori, poi il confronto avviene con i coetanei e si guarda ai campioni dello sport, ai personaggi della tv, ai compagni più grandi. L’emulazione da risorsa (imitando s’impara) può diventare pericolo.
Il protagonista dell’episodio narrato dal Vangelo di oggi è Zaccheo, celebre personaggio, pubblicano e capo dei pubblicani (quelli che svolgevano l’attività di riscuotere le tasse, i commercialisti di oggi). Il denaro di per sé non allontana da Dio; se viviamo sulla terra dobbiamo guadagnare, mettere i risparmi in banca, compiendo un atto di fiducia, la banca naturalmente corrisponde, sperando che tutto si mantenga a livello di fiducia reciproca.
Zaccheo sale sull’albero perché vuole vedere Gesù che passa. È piccolo di statura, ma si ingegna per vedere Gesù (si ingegnava molto anche negli affari). Il suo sguardo è curioso. Si tratta di una buona attitudine. C’è la folla, ma Gesù alza lo sguardo, gli interessa la persona, il singolo. Cosa c’è di più efficace di uno sguardo? Cos’è più fulminante di un’occhiata? C’è lo sguardo pieno di sdegno, lo sguardo compassionevole della persona che si china su chi è caduto, lo sguardo romantico di un innamorato, ecc. Chissà come sarà stato lo sguardo di Gesù… Lo sguardo di Zaccheo dall’alto, dalla cima dell’albero, vede passare Gesù e quello di Gesù, che è grandissimo ma si è fatto piccolo, si alza verso Zaccheo. I due sguardi si incrociano e succede una meraviglia: d’ora in poi Zaccheo guarda chi gli sta davanti non come persona di cui approfittare, su cui fare la cresta per arricchire se stesso, ma come fratello. I soldi servono, tant’è vero che Zaccheo dice: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8). Quando cambia lo sguardo – il che vuol dire che cambia il cuore – allora anche il denaro e la ricchezza diventano cose positive. Così il nostro andare a lavorare, il risparmiare, lo facciamo per il bene della nostra famiglia.
Concludo con l’augurio che il nostro cuore sia così caldo, così esposto alla luce dello sguardo di Gesù da farci germinare e diventare “una sequoia” che porta tanti frutti.