Omelia nella XXXI domenica del Tempo Ordinario
Belforte, 4 novembre 2018
Dt 6,2-6
Sal 17
Eb 7,23-28
Mc 12,28-34
(da registrazione)
Oggi in Italia si ricorda la fine della Prima Guerra Mondiale, cento anni fa. Ognuno di noi ha qualche nonno o bisnonno che ha combattuto e, in molti casi, ha lasciato anche la vita. «Una inutile strage», disse papa Benedetto XV: 18 milioni di caduti. Abbiamo un dovere di riconoscenza verso di loro. Abbiamo il dovere di fare memoria. Preghiamo per tutti. Oggi faremo una grande invocazione per la pace.
Ho molte cose da dirvi alla fine di questa settimana trascorsa in mezzo a voi. Quando penso a Belforte all’Isauro la prima immagine che mi viene in mente sono le chiavi attaccate alle porte. Le chiavi attaccate alle porte dicono fiducia. Belforte è un borgo nel quale ci si offre aiuto reciproco e il conoscersi bene è la prima risorsa insieme alla collaborazione tra municipio e parrocchia, tra istituzioni educative e associazioni, fino alla realtà che ho visitato poco fa: “Belfare” (geniale il nome!). Le chiavi attaccate alle porte mi hanno fatto ricordare che in una parrocchia soppressa della nostra diocesi, l’ex chiesa parrocchiale di Santa Flora in Sapigno (Anno Domini 1674), nella canonica è scolpita sulla porta una frase molto significativa: «Porta patens esto nulli claudatur honesto egenos vagosque induc in donum tuane concordia fratrum quovis muro tutior (Porta sii aperta, non chiuderti all’onesto. Fa’ entrare nella tua casa poveri e viandanti. La concordia dei fratelli è più sicura di qualsiasi muro)». A proteggere la casa e a darle sicurezza è l’amore che vi si vive.
L’adorazione e la preghiera hanno fatto da sfondo alla visita del Vescovo, in particolare durante il tempo della visita ai malati. Grande è il valore della preghiera: come le mani alzate di Mosè mentre il popolo combatte (cfr. Es 17,8-16). Dobbiamo recuperare la preghiera, soprattutto in famiglia. Due sono stati gli appuntamenti con maggior partecipazione. Al campo santo ho notato raccoglimento e devozione. Il primo messaggio che ho lasciato è la santità da cercare nella vita ordinaria, tra le persone a noi vicine, non in modelli astratti, ideali o sovrumani. Così, un laico può incontrare santi sul posto di lavoro, un vescovo nelle sue Visite Pastorali, un parroco nella benedizione alle famiglie, un paziente in un medico di ospedale e viceversa. Belforte ha l’onore di custodire la casa della Serva di Dio Maria Francesca Ticchi. È nata qui, è vostra concittadina, fa parte di voi, è cresciuta come le vostre bambine, poi, divenuta grande, ha chiesto con lo stratagemma di una bugia di poter consacrarsi direttamente al Signore. Una bugia perché si è spacciata per sua sorella un po’ più grande, che aveva lo stesso nome, con la complicità del parroco, perché non aveva l’età canonica per andare in convento. Gli innamorati sono pronti a tutto!
Il secondo messaggio, che ho dato nella cappella del cimitero, è stato un invito a riflettere sui Novissimi, cioè “le ultime cose”: morte, giudizio, inferno, paradiso. Un discorso sulla fine? In verità è stato un discorso sul fine della nostra vita, perché la domanda fondamentale è: «Per chi vivo?». Oggi abbiamo tanti idoli, tante sirene che ci condizionano e rischiano di schiacciarci nell’immanenza, nelle cose materiali. Recuperiamo la dimensione spirituale! Questo è stato oggetto del confronto con i membri del Consiglio pastorale. Provocatoriamente ho detto: «A Belforte come va con la fede?». La risposta è stata: «Gli anziani l’hanno mantenuta e la tengono salda, sono un esempio per tutti». In effetti, ho fatto visita a molti anziani e ho trovato persone di fede e di preghiera che ricevono ogni mese la visita del parroco che porta loro Gesù Eucaristia. «Noi adulti – hanno aggiunto – abbiamo tante distrazioni: impegni, lavoro, ambizioni, ecc. I giovani danno l’impressione di abbandono completo della pratica religiosa». Che fare? Anzitutto bisogna partire dal positivo che è in ognuno, perché ogni persona che viene al mondo nasce con una scintilla divina. Siamo fatti di Cielo e non può il cuore non aprirsi alla bellezza, alla bontà, alla verità: cos’è questo se non apertura a Dio? Da parte nostra – è stato detto – dobbiamo offrire ai giovani testimonianza pratica, esperienze forti, comunicazione che catalizza; occorre mettersi a livello dei ragazzi, cercare di accompagnarli, di ascoltarli e di suscitare in loro domande. Poi, essere vicini a loro in quella grande provocazione che è il dolore che, prima o poi, in un modo o in un altro, arriva e può dischiudere l’intelligenza, la coscienza e il cuore.
Ho incontrato scuole, istituzioni e associazioni e in quei contesti si è detto che la politica è «una forma alta della carità». Che altro è la politica se non ricercare il bene comune, mettersi a servizio di tutti, partecipare? E il volontariato che cos’è se non “fare volentieri”, con passione. Ringrazio per la cortesia, anzi per l’amicizia con la quale sono stato accolto nel Consiglio comunale, nelle scuole elementari e all’asilo nido.
Grazie anche della considerazione e del tempo che mi è stato dato durante la visita alle vivaci aziende di Belforte che assicurano lavoro e sono un presidio sul territorio.
Quanti incontri in questi giorni… Volti, nomi, situazioni. Vorrei, se fosse possibile, abbracciare tutti. Lo farò certamente con la preghiera. Ricordo i ragazzi e le frasi di Vangelo che mi hanno saputo dire quando ho chiesto loro: «Qual è la frase più bella del Vangelo?». Così ricordo gli sposi; insieme abbiamo meditato sul matrimonio come sacramento che aggiunge un valore inestimabile all’amore umano e dà forza a quella che è una vera e propria missione, la vita di famiglia.
Con un gruppo di adulti ho vissuto e meditato la pagina del Vangelo di Marco che racconta la risurrezione di Gesù: donne che vanno al sepolcro dove era stato posto Gesù, donne capaci di affrontare il dolore e l’oscurità della tomba e, proprio lì, l’annuncio della risurrezione: «È risorto! Non è qui». Se Gesù non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede (cfr. 1Cor 15,14). È proprio perché lui è vivo che ci riuniamo in assemblea come questa mattina, l’assemblea grande parrocchiale a Belforte o le assemblee delle chiese di Viano e di Torriola (almeno una volta ogni quindici giorni) o le assemblee occasionali a Campo, ma un’unica realtà parrocchiale, un unico cuore attorno al nostro don Franco del quale ho potuto conoscere da vicino la bontà, lo spirito sacerdotale, l’ospitalità. Sono stato una settimana in casa con lui: vitto, alloggio, lavoro pastorale e preghiera insieme, la sera e la mattina. Grazie don Franco!
Infine, ci portiamo a casa l’insegnamento dal Vangelo di oggi, un Vangelo che dobbiamo vivere per non essere “lontani” dal Regno di Dio, perché Gesù elogia così lo scriba che gli dice la sua frase di Vangelo: «Non sei lontano dal Regno di Dio, beato te» (cfr. Mc 12,34). Che Gesù lo possa dire anche di noi! Ecco: «Amare Dio con tutto il cuore… e il prossimo come se stessi» (Mc 12,30-31). La novità sta nell’unità di quelli che appaiono come due comandamenti distinti: amare Dio e amare il prossimo. Sono un unico comandamento. Dio non si presenta come concorrente dell’uomo. Sarebbe così se si dovesse scegliere fra l’amore per lui e l’amore per il prossimo. Ma – avete sentito – lo scriba adopera la congiunzione “e”, non la disgiuntiva “o”. Ed è anche la testimonianza che ci offre Gesù. Lui ha un grande amore per il Padre; questo amore lo trattiene sul monte a lungo a pregare e gli fa alzare gli occhi al cielo prima di gesti importanti, ma, nello stesso tempo, Gesù va ad incontrare malati, a soccorrere poveri e peccatori, a radunare folle disperse come pecore senza pastore. Dunque, un’unica fedeltà: a Dio e all’uomo.
Come messaggio per la Visita Pastorale vi lascio questa consegna: «Amare sempre, amare tutti, amare per primi». Così sia.