Omelia nella XV domenica del Tempo Ordinario
Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 10 luglio 2022
Dt 30,10-14
Sal 18
Col 1,15-20
Lc 10,25-37
Parabola arcinota (era persino sul mio Sussidiario delle Scuole elementari…), ma vorrei gustare insieme con voi la sua novità, provare qualcosa che smuova apatia e mediocrità, per divenire fervore e decisione nella vita. Penso che questo sia possibile se la rileggiamo come fosse la prima volta, nella preghiera e nell’ascolto profondo.
Possiamo iniziare con la composizione di luogo: ci troviamo in una strada tortuosa che discende da Gerusalemme verso Gerico, una strada di 27 km, con 1.000 metri di dislivello; una strada pericolosa, con curve e con possibili sorprese: i briganti. Un’altra cosa interessante da notare è che la parabola parla di «un uomo», un uomo senza identificazione; non viene detto il nome, né la provenienza, né l’età, né se sia povero o ricco, ignorante o colto. Potremmo vedere in quell’uomo, l’umanità, tutti noi. È, in fondo, il mistero di ogni persona umana che, prima o poi, si imbatte in qualche disavventura, che gli fa provare la sua fragilità e il suo bisogno di essere aiutato. Questo è il primo personaggio della parabola.
Gesù, poi, fa entrare in scena altri tre personaggi. Il primo è un sacerdote; non ci viene detto da dove viene; si può supporre venga da Gerusalemme, dove forse ha svolto il culto e ha fretta di tornare a casa, oppure forse sta salendo a Gerusalemme per praticarlo. Nella città di Gerico vivevano, infatti, molte famiglie di sacerdoti e di leviti. Il secondo personaggio, per l’appunto, è un levita, non addetto direttamente al culto, ma dedito ai servizi che si prestano nel tempio di Gerusalemme. Ambedue questi notabili peccano di omissione di soccorso. Il lettore si scandalizza: due educatori del popolo di Dio, due addetti al tempio, al culto, non si accorgono di un uomo che giace mezzo morto lungo la strada! Non sappiamo i motivi: Gesù non lo dice. Forse la paura? Potrebbe succedere anche a loro, mentre soccorrono il malcapitato, di cadere nelle mani dei briganti, quindi preferiscono darsela a gambe. Probabilmente temono il contatto con il sangue o con un morto e così contrarre impurità rituale, che avrebbe inibito il culto. Il lettore si scandalizza; insorge in lui un sentimento di anticlericalismo. Ma Gesù sorprende introducendo il terzo viaggiatore. Ci si aspetterebbe fosse un laico israelita. Questo darebbe alla parabola un carattere di giudizio sul clero: un laico fa quello che il religioso omette! Invece Gesù fa entrare un samaritano, un mercante, che si ferma e si prodiga a favore di quel malcapitato. Dunque, Gesù va ben oltre la vena anticlericale: fa vedere come proprio questo straniero, questa persona eretica, odiata, estromessa dal popolo di Dio (così erano considerati i samaritani), compia l’azione di soccorso, di aiuto.
È interessante – molti commentatori lo sottolineano – vedere l’abbondanza di verbi che descrivono nel dettaglio l’azione di misericordia del samaritano: lo vide, gli passò accanto, ne ebbe compassione, gli si fede vicino, gli fasciò le ferite, versando olio e vino, lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo, si prese cura di lui, tirò fuori due denari, li diede all’albergatore… Undici verbi: uno in più delle dieci parole del Decalogo. Sorprendente!
Torno alla questione iniziale. Il dottore della legge aveva interloquito Gesù in questo modo: «Che devo fare per avere la vita eterna?». E Gesù gli aveva risposto: «Che cosa leggi nella Scrittura?». Il dottore della legge enuncia alla perfezione i due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Gesù conclude dicendo: «Fa’ questo e vivrai». Ma quello, quasi per giustificarsi, perché vuol avere l’ultima parola o non vuol fare la figura dello scolaretto che ha detto la lezione, replica a sua volta: «Chi è il mio prossimo?». Una questione tutt’altro che innocua: al tempo di Gesù si discuteva, in modo legalistico, fin dove arrivasse l’estensione del precetto dell’amore al prossimo: per i farisei il prossimo è chi appartiene al loro circolo; per gli esseni valeva la regola: «Ama i figli della luce, odia i figli delle tenebre». Gesù doveva prendere posizione; propone un capovolgimento: risponde alla questione non attenendosi alla casistica, ma portando un fatto, raccontando un episodio. Tant’è vero che alcuni esegeti non definiscono questa come “parabola”, ma come “racconto di comportamento”. Gesù non dice «chi è il tuo prossimo», ma invita a farsi prossimi degli altri. Il capovolgimento è soprattutto perché Gesù mette nel comportamento del samaritano – uno che è fuori dal popolo dell’Alleanza – la professione del comandamento dell’amore al prossimo; lo pone come interprete della volontà di Dio. Dal samaritano viene questa lezione!
Riassumendo, Gesù risponde non legalisticamente, ma con un’esperienza: conferma che il prossimo sei tu che ti avvicini all’altro; invita a “prendere lezione” da una persona che non ti aspetteresti.
Torniamo all’«uomo incappato nei briganti». Attualizzando la parabola non si può evitare una riflessione sulla giustizia sociale. Oggi la parabola viene letta da milioni di cristiani, i quali si mettono davanti all’esigenza della carità, a comportamenti sempre più ispirati al Vangelo, ma anche di fronte alla prospettiva della fraternità universale. Una delle forme più alte della carità e dell’amore al prossimo è la politica: «Uscire dai problemi da soli – diceva don Lorenzo Milani – è l’egoismo, sortirne insieme è la politica». Intendo la politica nel senso più ampio di partecipazione alle vicende della comunità. Allora, quando guardiamo la tv, non fermiamoci solo ai programmi di evasione, ma mettiamoci in ascolto, partecipiamo al dibattito, sentiamo i problemi dei fratelli come i nostri.
Mi piace anche considerare che il samaritano non offre soltanto l’olio che cura le ferite o il vino che placa il dolore o i due denari per l’albergatore: tutte cose utili, belle, necessarie, ma che poi gli possono ritornare in qualche modo. Il samaritano dona soprattutto il suo tempo e il tempo, una volta che è stato dato, non torna più. I maestri antichi vedono nel buon samaritano la figura stessa di Gesù, che non dà qualcosa, ma se stesso.
Vi auguro di vivere questa settimana con questa tensione positiva, costruttiva. Donare non qualcosa, ma noi stessi: attenzione, tempo, disponibilità.