Omelia nella XIX domenica del Tempo Ordinario
Maciano (RN), 8 agosto 2020
Festa di San Luigi Gonzaga e di San Pasquale Bailonne
1Re 19,9.11-13
Sal 84
Rm 9,1-5
Mt 14,22-33
Il commento al Vangelo è una cosa seria, non si deve partire con una battuta ma, data la confidenza, permettetemi di cominciare con un proverbio ferrarese, di cui faccio la traduzione: «Te ne accorgerai nel friggere!». Si dice così alla persona che intraprende qualcosa di impegnativo e difficile con troppa disinvoltura: «Ti accorgerai cammin facendo che l’avventura nella quale ti sei imbarcato è tutt’altro che semplice».
Pietro cammina sulle acque dietro a Gesù. È bello che Pietro voglia tener dietro a Gesù. Chi può criticarlo? Fa dei passi camminando sul mare. Penso anche al singolare sentiero dei genitori, quando hanno deciso di sposarsi; non sapevano che cosa sarebbe stato scritto su quel rotolo che giorno dopo giorno sono andati svolgendo. L’amore era grande e hanno deciso di fondare una famiglia. Ma quante prove! Penso a chi riceve la cattedra per insegnare: parte con tanto entusiasmo, poi vengono i momenti di difficoltà, in cui gli alunni non ascoltano e non si impegnano, ecc. Anche un vescovo, dopo esser stato chiamato, dice: «Signore, comanda che io venga a te camminando sul mare», senza sapere che cosa voglia dire fare il vescovo…
La prima preghiera che esce dal cuore di Pietro è indubbiamente molto bella: «Signore, che io cammini dietro di te anche sull’acqua». Nel linguaggio biblico il mare è la creatura descritta come avversaria di Dio, è luogo misterioso abitato dai mostri marini, dal Leviatan. Gesù sull’acqua ci cammina. «Camminare sul mare» significa credere che la potenza di Dio è più grande degli spiriti che vi sono presenti e accettare che la fede può tutto e nulla impossibile per chi crede (cfr. Mt 17,20). L’evangelista Matteo sottolinea molto questo aspetto per dire che Gesù è il Signore. La Sacra Scrittura, in vari punti dice: «Dio domina le acque del mare» (cfr. Am 5,8; Sal 65,8; 89,10; 135,6; Is 51,15; Ez 27,4; tutta l’epopea dell’esodo è vittoria di Dio sul mare: cfr. Sal 77,20). Allora, la preghiera di Pietro: «Comandami, Signore, di venire a te camminando sul mare» significa tutta la sua adesione e tutta la sua fede in Gesù Signore.
Mentre Pietro fa dei passi sull’acqua, Gesù è davanti a lui, gli ha spalancato le braccia dicendo: «Non aver paura, vieni!». Vorrei dire ai fidanzati che intraprendono il cammino verso il matrimonio, vorrei dire a chi ha una piccola impresa e adesso è in un momento di difficoltà, le stesse parole di Gesù: «Fidati, buttati!». Permettete questa metafora: più si pedala nonostante il buio, più la dinamo fa luce. Se si sta fermi per paura del buio, non si va avanti e si resta nel buio.
Dopo i primi passi verso Gesù, Pietro prende coscienza che sotto di sé ha l’abisso. È come quando si prende coscienza che davanti a sé c’è un impegno smisurato e il futuro presenta il conto… Si pensa di non potercela fare. Vengono lo spavento, la paura, l’incertezza, il dubbio. Pietro ci è maestro perché, presa coscienza della sua fragilità, intona un’altra preghiera a distanza di un minuto dalla precedente: tra le due c’è un abisso! «Signore, salvami!»: una preghiera autentica, che sgorga dal cuore. È una preghiera che tutti noi possiamo fare. Se in mezzo a noi c’è qualcuno che si è messo in cammino e si rende conto della difficoltà ed è nel momento in cui sprofonda, sappia che noi preghiamo per lui, perché non tema, perché abbia coraggio. Gesù è lì davanti a lui.
Il brano di Vangelo si conclude con un solenne atto di adorazione sulla barca. Alcuni si chiedono: «Come mai, se sono partiti verso sera, al tramonto, alla quarta veglia nella notte sono ancora sul lago? Non ci vuole così tanto tempo per andare all’altra riva del lago di Tiberiade». Evidentemente il vento era molto forte, c’era una grande burrasca. In quella situazione i discepoli passano dalla paura al coraggio, dal dubbio alla certezza, dalla disperazione alla lode: «Veramente tu sei Figlio di Dio!».
Domenica scorsa abbiamo letto di un grande miracolo compiuto da Gesù, uno dei più grandi: ha moltiplicato pani e pesci per cinquemila persone. Un miracolo utilissimo. Tant’è vero che – se stiamo al Vangelo di Giovanni – vogliono farlo re. Ma Gesù si ritira in disparte. Non cerca la fama, non si ritira neppure per mettersi al sicuro allorché lo informano che Giovanni era stato decapitato (Mt 14,12-13). Gesù non fa il miracolo per ingraziarsi la gente, ma soltanto per misericordia, per amore di quelle persone. Il secondo miracolo, quello che fa nella semioscurità delle prime ore dell’alba (o delle ultime della notte), per un amico, è un miracolo “inutile”, un miracolo fatto per motivi di cuore, per l’amicizia che ha per Pietro, perché non vada a fondo. Eppure, questo secondo miracolo mi è molto caro e mi illumina. «Signore Gesù, salvami!». E lui mi dice: «Non avere paura». Ho bisogno che me lo dica!