Omelia nella XIV domenica del Tempo Ordinario
Ponte Cappuccini (PU), 3 luglio 2022
Is 66,10-14
Sal 65
Gal 6,14-18
Lc 10,1-12.17-20
La parola “apostolo”, da cui derivano le parole “apostolato”, “apostolico”, significa “uno che è mandato”. Ma come intendeva Gesù i suoi apostoli?
L’evangelista Luca in forma narrativa ci descrive chi è l’apostolo e che cos’è l’apostolato. Parto con un esempio che riguarda le mie origini. Sono nato in un piccolo paese sulle rive del Po. Dalle mie parti, di tanto in tanto, si trova un barcone saldamente attraccato alla riva e trasformato in ristorante. Ebbene, la Chiesa non è un barcone attraccato all’argine: è una barca a vela che solca tutti i mari. La Chiesa o è missionaria, o è “in uscita”, o non è; altrimenti smentisce se stessa. O è apostolica oppure diventa museo con opere d’arte, volumi, papiri, tradizioni… Talvolta abbiamo un’idea della Chiesa molto statica: una Chiesa costruita sulla roccia, sì, ma questo non dice tutto, perché la Chiesa per definizione è un popolo in cammino, in movimento. Anche l’istituzione non va fraintesa: è un popolo unito e compaginato, ma itinerante.
«In quel tempo, Gesù designò altri 72». Alcuni li aveva già mandati (cfr. Lc 9,51-55): erano andati per preparare il suo arrivo. Non tutti hanno accettato l’arrivo degli apostoli missionari; due di loro, Giovanni e Giacomo, hanno proposto a Gesù una punizione: «Chiediamo a Dio che mandi dal cielo un fuoco che incenerisca “i cattivi”, come è stato fatto con Sodoma e Gomorra?». Ma questo non è lo stile di Gesù! Ora ne manda altri 72, e li manda 2 a 2. Questi numeri, evidentemente, hanno anche un valore simbolico: un’aritmetica teologica! Questo uno dei possibili significati del numero 72: 72 è il prodotto di 12 per 6. 12 è il numero del nuovo popolo d’Israele, fondato sulle 12 colonne che sono gli apostoli; 6, invece, è un numero imperfetto (7 sarebbe il numero della perfezione): Gesù insinua l’idea che siamo nel tempo del cammino, in cui non c’è ancora la pienezza. Lo scorrere del tempo accompagna questo camminare verso la pienezza; un po’ come il sesto giorno della creazione trova compimento nel settimo giorno, il giorno della pienezza.
I 72 che dovranno preparare l’arrivo di Gesù devono andare 2 a 2. Non per farsi compagnia e per guardarsi le spalle, ma perché 2 è il minimo della relazione e perché, per dare testimonianza, non basta una persona sola. E gli apostoli devono portare una testimonianza; non devono piazzare dei prodotti o elaborare teorie da rovesciare addosso alla gente: sono testimoni, la loro concordia parla. Che bella la testimonianza degli sposi con il loro amore fedele, perseverante, nel dono di sé: è Vangelo che parla! Possono essere testimoni anche due colleghi, due oblati, due suore, un vescovo e un sacerdote… Gesù vuole che la testimonianza venga portata con la vita. «Il Vangelo si testimonia con la vita, qualche volta anche con le parole», diceva san Francesco. I due apostoli itineranti vanno a constatare che Gesù è già arrivato. Il loro primo compito è di saper vedere quello che Dio sta facendo nel cuore dell’uomo. Partire da qui! La messe biondeggia… Gesù non è pessimista come noi, vede la messe abbondante, il Regno di Dio che avanza.
«Pregate perché il Padre mandi chi lavora la messe». La messe c’è già! L’evangelizzazione – sto sfiorando temi di dibattito oggi nella Chiesa – non è indottrinamento. A volte qualcuno pensa che bisogna essere più aggressivi, che occorra affrontare di petto l’antropologia dominante e cambiarla, sostituirla. Dall’altra parte c’è chi pensa non sia il caso di sbilanciarsi troppo per non favorire reazioni di rifiuto. Sono entrambi eccessi, sia l’evangelizzazione aggressiva che la paura di mettersi in gioco. L’apostolo deve andare e deve mettere in evidenza il Vangelo che c’è, partire dal positivo, fare interventi costruttivi. Quante persone si impegnano per la loro famiglia, sentono dentro il cuore il desiderio di infinito, a modo loro pregano…
«Non fermatevi a salutare per strada…». Gesù non voleva certamente negare i saluti, gli abbracci e la cortesia, ma intendeva dire che l’apostolo deve avere dentro la gioia e l’urgenza del Vangelo e stare attento a non perdersi in giri di parole e in convenevoli (Gesù parlava al mondo orientale dell’epoca, in cui i saluti erano una vera e propria cerimonia quotidiana). Gesù in sostanza dice: «Entrate subito “in medias res”», poi aggiunge che questi saluti non diventino un alibi per non arrivare al dunque, per non prendere la decisione e rinviare l’annuncio.
A volte, quando ero parroco, mi capitava mi chiamassero perché era successa una disgrazia; un giorno, ad esempio, una mamma si era tolta la vita mentre il papà era al mare con i bambini. Quando mi sono venuti a chiamare ho cercato di sottrarmi con la scusa di impegni già programmati, finché lo Spirito Santo mi ha spinto ad andare ad abbracciare il dolore di quella famiglia. I saluti a cui allude Gesù vediamoli come la tentazione dei nostri rinvii, le nostre pigrizie o le scuse del non sentirsi adeguati.
Gesù ci manda «come agnelli in mezzo ai lupi». Ci invita ad avere coraggio, non perché ci sbranino (non siamo in terra di martirio), ma perché quando testimoniamo il Vangelo ci mettiamo in gioco e siamo osservati, criticati. Gesù ci esorta a non avere paura perché lui è con noi. Con questa fiducia prendiamo dal Vangelo di oggi l’impegno ad essere apostoli, ognuno nel raggio d’azione in cui il Signore lo ha posto. Così sia.