Omelia nella V domenica di Quaresima
San Marino Città (RSM), 29 marzo 2020
Ez 37,12-14
Sal 129
Rm 8,8-11
Gv 11,1-45
A prima vista pare un semplice miracolo, un gesto di potenza da parte di Gesù, che fa rivivere un morto per consolare una famiglia disperata. In realtà, al centro del racconto vi è Gesù con le sue clamorose dichiarazioni. Attorno a lui si muovono vari personaggi, che prendono diverse posizioni. Propongo un esercizio per la preghiera: in quale dei personaggi mi identifico? Quale posizione prendo?
Qualcuno potrebbe decidere di mettersi nel gruppo dei discepoli che assistono alla scena e vi partecipano. I discepoli sanno quanto Gesù era amico di Lazzaro; dicono tra loro: «Vedi come lo amava». E poi, rivolgendosi a Gesù, provano a consolarlo: «Il tuo amico è in fin di vita. Ci dispiace. Per lui è finita. Rassegnati. Fattene una ragione e pensa ad altro». Anche loro amano Gesù, ma di fronte al dolore, alla morte, alla sconfitta, sanno solo cercare di chi è la colpa. L’abbiamo sentito nella pagina evangelica di domenica scorsa (il racconto del “cieco nato”): «Se è cieco, di chi è la colpa? Sua o dei suoi genitori?». I discepoli sono solo capaci di fare condoglianze. Gesù, invece, non sopporta i soliti discorsi. «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio». Un invito a capire come questa sconfitta possa essere trasformata in luce, in vittoria, dai disegni di Dio.
Qualcuno di noi potrebbe mettersi nei panni dei parenti di Lazzaro. Costoro sono credenti, ma la loro è una fede interessata, incline a chiedere miracoli: «Non poteva far sì che questi non morisse?». Non chiediamo tanto – sembrano dire – solo un po’ di salute, qualche anno in più di vita; quasi che il Signore – questo è il retropensiero – fosse tirchio, insensibile; mentre invece lui sta per offrire molto di più: la vittoria sulla morte. Dirà, infatti: «Tuo fratello risorgerà». Altro che tirchio e insensibile! Gesù piange, si commuove. Questa mattina il Santo Padre ha invitato a fare di questa giornata “la giornata delle lacrime”. Gesù ha pianto varie volte nella sua vita terrena, perché si è messo nei panni delle persone. Non guarda insensibilmente. Ha pianto su Gerusalemme, che non accettava l’invito alla conversione, ha pianto nel giardino del Getsemani e piange per la partenza dell’amico Lazzaro. Forse in questi giorni, travolti dalle cronache dei telegiornali, può succedere che si formi come una patina nel nostro cuore, non per cattiveria, ma quasi per difesa. Non ci si lascia commuovere fino in fondo, a meno che non sia coinvolto uno di famiglia o un amico intimo. Proviamo, quando entriamo nella preghiera, a lasciarci commuovere, come Gesù. Chiediamo il dono di saper piangere.
Qualcuno di noi potrebbe identificarsi nelle sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, ognuna col suo temperamento. Marta e Maria compiono un vero itinerario, un vero cammino di fede. All’inizio sono renitenti, anche loro si lamentano come gli altri: «Se tu fossi stato qui… Ora è troppo tardi». Ma poi l’affetto per Gesù riveste in loro la speranza: «Sappiamo che risorgerà nell’ultimo giorno». Un’ulteriore provocazione di Gesù le invita ad andare oltre la comune speranza ebraica nella vita eterna, a credere che chi è unito a lui nella fede e nell’amore risorge già ora, esce dal sepolcro. Del resto, l’evangelista Giovanni ci dirà nella Prima Lettera che «passiamo dalla morte alla vita quando amiamo» (cfr. 1Gv 3,14). È vero che si muore tante volte nella vita, basti pensare ai distacchi, agli abbandoni, ai fallimenti, alla malattia, all’invecchiamento (tutte morti in qualche modo), ma è anche vero che si comincia da bambini, poi si va avanti da giovani, da adulti e da anziani, ad amare e ogni volta che si ama – lo dice la Parola di Dio – «si passa da morte a vita». Quanta risurrezione anche in questi giorni così difficili! Dedizione agli altri, a volte a distanza, ma c’è una prossimità più forte che si raggiunge con la preghiera e con l’uso di mezzi di comunicazione (c’è chi, in questi giorni, si è finalmente “alfabetizzato” e riesce a usare meglio il cellulare, il computer, le videochiamate, a fare riunioni in videoconferenza… Attraverso questi mezzi si trova comunione, ci si aiuta, si fanno riflessioni costruttive). Ebbene, le due sorelle fanno tutto questo cammino. «Non ti ho detto che se credi vedrai la gloria di Dio?»: sono parole che ci fanno crollare e ci fanno ricordare che Lazzaro è stato rianimato, ma non fu risurrezione definitiva, perché poi è morto di nuovo. Se uno crede in Gesù, vive con lui, sta con lui, fa questa esperienza di fede profonda. Chiediamo a Gesù che ci doni la fede, chiediamo a noi di alzare lo sguardo. Lui ci dice: «Guardami!». Gli antichi raffiguravano la morte come il passaggio di un fiume. La creatura, quando è sul bordo di questo fiume, ha paura, non osa avanzare, prende il sopravvento l’insicurezza. È normalissimo. Gesù tende la mano e dice «guardami, abituati ad essere sotto questo mio sguardo». Questa settimana ascolteremo il suo invito: «Guardami, stai con me». Questo ci preparerà a vivere la risurrezione.