Omelia nella V domenica di Pasqua

San Marino Città (RSM), 10 maggio 2020

At 6,1-7
Sal 32
1Pt 2,4-9
Gv 14,1-12

«Non sia turbato il vostro cuore» (Gv 14,1). Esordisce così il Vangelo che abbiamo letto questa domenica. C’era tristezza quella sera; un velo di melanconia aleggiava durante l’Ultima Cena, perché Gesù aveva detto che stava scoccando l’ora della sua partenza. Alludeva esplicitamente alla croce. Un’altra partenza che darà tristezza ai discepoli sarà l’Ascensione. Ma la partenza di Gesù, la sua separazione non deve spaventare i discepoli. È vero, parte per la croce, però quello sarà il momento della massima manifestazione della sua gloria: «Innalzato da terra – aveva detto – attirerò tutti a me» (Gv 12,32). La croce è il momento della gravitazione universale nel Cristo. L’evangelista Giovanni vede nella crocifissione il momento dell’esaltazione e della gloria. Momento dell’Ascensione e, insieme, momento dell’Effusione dello Spirito, che uscirà da quella ferita aperta sul costato da cui si vedono scaturire acqua e sangue (cfr. Gv 19,34). Allora l’Ascensione, in croce e in gloria, sarà la garanzia della piena unione dei discepoli con il Padre, perché anch’essi ascenderanno con lui, Gesù. Importante è imboccare la strada giusta.
Gesù continua raccontando qualcosa del suo rapporto con il Padre, un rapporto intimo, profondo, nel quale lui vive la fiducia, l’abbandono, la tenerezza. Quante volte Gesù si è appartato sul monte per intrattenersi col Padre! I discepoli, vedendolo pregare, gli hanno chiesto di entrare nella sua preghiera, che è rapporto d’amore con il Padre. E del Padre, Gesù parlerà tante volte nei Vangeli. Basti pensare al “discorso della montagna”, in cui dice che è un Padre «che vede nel segreto» (Mt 6,6), ma non perché è uno spione; «vede nel segreto», perché si interessa di te, perché è piegato su di te, si prende cura di te; si prende cura persino degli uccellini, dei fiori del campo… (cfr. Mt 6,28). Come potrà non prendersi cura di ciascuno dei discepoli?
Mentre Gesù parla – è quasi un monologo – Tommaso l’interrompe dicendo: «Dove vai? Qual è la strada?». Gesù risponde: «Da tanto tempo sono con voi – lo dice in particolare a Filippo – e voi non avete capito che io sono nel Padre e il Padre è in me? Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9). A questo proposito è interessante notare come anche noi cerchiamo la strada per andare a Dio. Molte volte vogliamo essere noi a tracciare la strada, quasi dipendesse da noi fare il programma e fissare la tabella di marcia, salvo poi constatare che non siamo capaci di percorrerla. Abbiamo grandi aspettative su noi stessi; da qui nascono fallimenti, delusioni e soprattutto il sentimento di sentirsi giudicati ed essere trovati insufficienti. Piano piano viene fuori l’idea che ci siamo fatti di Dio in senso peggiorativo. Siamo stati creati ad immagine di Dio, ma a volte siamo noi che ci creiamo una immagine di Dio, che non è la sua. In questi giorni, spiegando il Vangelo in altri contesti, più confidenziali, ho fatto un paragone… Passatemelo. È il racconto di quel giovanotto che aveva bisogno di una bicicletta; gli è venuto in mente che la suocera ne aveva una molto bella. È andato verso casa sua, un centinaio di metri più avanti, ma già durante il viaggio ha cominciato a dire tra sé: «Adesso arrivo là, le chiedo la bicicletta, lei mi dirà di stare attento perché è nuova; poi aggiungerà: “C’è la pedivella che ha un difetto, mi raccomando non calcare troppo”. Poi dirà: “Fai attenzione alle buche che ci sono sulle strade…”». Per il ragazzo quei cento metri sono stati tutti un costruirsi una precisa immagine della suocera e, quando è arrivato davanti a lei, gli è venuto da dire: «Tieniti la tua bicicletta e fatti benedire!».
A volte noi facciamo così: ci costruiamo un’idea di Dio e lo immaginiamo come il nostro “ego” ipertrofico, lo sentiamo come esaminatore e giudice. Allora finiamo per averne paura. Svapora l’immagine così bella del Padre che ha tracciato Gesù.
Ecco perché Gesù dice a Filippo: «Da tanto tempo sono con voi e non avete capito… Chi vede me, vede il Padre. Io sono la manifestazione del Padre». Pensiamo al rapporto che Gesù aveva con le persone: è il rapporto che Gesù vuole avere con ciascuno di noi.
Vorrei concludere con un altro sviluppo di questo pensiero. La prossima settimana – il 18 maggio – sarà il Centenario della nascita di san Giovanni Paolo II. Ricordo – ero ancora studente – che studiavamo con passione la sua prima Enciclica, Redemptor Hominis. Giovanni Paolo II scriveva: «L’uomo è la via della Chiesa». Ogni persona è una via per noi. Santa Teresa di Lisieux parlava della “piccola via”. La via è Gesù, ma Teresa aveva capito che si doveva fare ogni cosa per amore, essere nell’amore in ogni azione, in ogni momento: cose piccole, ma che nell’amore diventavano grandi. Quando era ammalata non riusciva più a fare le scale e ogni respiro diventava un affanno, lo donava, lo viveva in questa prospettiva di amore. «Fare tutto per amore». Gesù dice: «Voi farete cose più grandi di me» (Gv 14,12). Noi possiamo fare le cose di Gesù, perché siamo in Gesù e lui è in noi. Lui opera per mezzo nostro: quando noi agiamo è come se Gesù agisse in noi. Allora ogni cosa si trasforma, ogni azione diventa importante, non ci sono le persone di serie A e di serie B. Siamo davanti a Dio, altri Gesù: «Voi farete cose più grandi di me». Signore Gesù, grazie della fiducia che ci dai, grazie perché la nostra ricerca di Dio non è uno spreco di energie nel vuoto: Tu sei il volto del Padre.