Omelia nella Solennità di Tutti i Santi
Pennabilli (Cattedrale), 1° novembre 2019
(da registrazione)
Ap 7,2-4.9-14
Sal 23
1Gv 3,1-3
Mt 5,1-12
Due cose mi rallegrano questa mattina. La prima è il canto dei ragazzi, squillante e festoso. Davvero oggi è una festa grande: si parla dei santi che sono nel Cielo, ma anche della vocazione di noi che siamo sulla terra. La seconda cosa, che non ho smesso di fare da quando è iniziata la Santa Messa, è stata quella di pregare il Signore per me e per ciascuno di voi personalmente, perché possiamo tornare sulla piazza dopo questo incontro con il Signore rincuorati e ringiovaniti. I più maturi di noi ricorderanno, infatti, quando prima della Messa si ripetevano le parole del Salmo: «Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat iuventutem meam (mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che rende lieta la mia giovinezza» (cfr. Sal 42). Altro che cure cosmetiche, palestre, sport…
Vorrei che tornassimo sulla piazza, e poi alle nostre case e nei prossimi giorni al nostro lavoro, con questo pensiero dentro di noi, pensiero che dovremmo ripeterci gli uni agli altri: «Siamo chiamati alla santità». Verrebbe da rispondere, con rassegnazione: «La santità non fa per me, vivo nella mediocrità». Invece no. Questi appuntamenti festosi devono metterci in cuore la nostalgia della santità.
Nel 2013 ci fu a Rovigo la canonizzazione di una mistica, proclamata beata, che avevo avuto la possibilità di conoscere. Ricordo che tornai a casa, quel giorno, con una nostalgia in cuore, un desiderio di santità. Quand’ero un ragazzino ho pensato persino che lo sarei diventato. Poi, nel cammino della vita, si scoprono in se stessi le falle, le inconsistenze, le debolezze, il peccato. Ma bisogna reagire a questa impressione negativa, perché veramente il Signore si è impegnato per noi. Da quando papa Francesco ha pubblicato l’Esortazione Apostolica “Gaudete et Exsultate” sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, non abbiamo alibi. La santità è sempre straordinaria, perché è dono di Dio, che non desidera altro che effondere il suo Spirito su ciascuno di noi. Ognuno di noi adesso pensi: «Io sono stato baciato dal Signore; il Signore ha infuso in me il suo Spirito nel giorno del mio Battesimo e nella Cresima». Nel contempo la santità è ordinaria, perché corrisponde alla nostra vocazione, a quello che il nostro cuore, in fondo, desidera. Chi non desidera bellezza, bontà, santità, luce? C’è una fedeltà quotidiana nel tempo – dice il Papa nella sua Esortazione Apostolica – che la qualifica come “santità della porta accanto”, perché non si fa notare con doni straordinari, con manifestazioni soprannaturali che eccedono la natura e neppure con segni eclatanti. Allora la santità è straordinaria e ordinaria ad un tempo.
La beata Maria Bolognesi, che ho conosciuto, era di Ariano Polesine e, come tutti i ferraresi di quegli anni, ha subito la piena del Po, ha faticato, ha fatto catechismo, ha sofferto molto. Ci sono anche cristiani che, aiutati dallo Spirito Santo, per un disegno del Signore, sono dotati di carismi speciali. Qui in Cattedrale, ad esempio, abbiamo le reliquie di san Pio V, che è stato un uomo eccezionale, dirompente nel suo tempo. Eravamo nel pieno umanesimo e lui era un uomo austero. Non ha voluto neanche il vestito da Papa, ha voluto mantenere il saio da monaco domenicano (il vestito bianco, indossato da allora da tutti i papi, che dismisero i vestiti sfarzosi dei papi rinascimentali). Poi c’è la reliquia di san Giovanni Paolo II. Il Signore gli ha dato doti particolari, sia di umanità, sia di intelligenza, insieme alla capacità di parlare le lingue. Non tutti hanno le sue qualità, le sue doti, ma tutti possono mettere a disposizione del Signore quello che sanno fare. Tra questi cristiani vanno considerati i martiri, che non indietreggiano davanti alla suprema testimonianza della fede, e poi tutti coloro che vivono per il Vangelo nel dono totale di sé, modelli per noi e costruttori della comunità.
Vi faccio tanti auguri per tutto, che stiate sempre bene, che tutto vada bene, che non abbiate contrasti, ma prima o poi succede a tutti che è chiesto un passaggio forte nel percorso della vita, un vero e proprio eroismo, anche se non andrà sui giornali o in piazza San Pietro per la canonizzazione. Penso che ogni cristiano, prima o poi, si imbatte in una situazione di eroismo, di accettazione, di lotta, di servizio, di dimenticanza di sé. A volte si tratta soltanto di “oltrepassare un pianerottolo” per dire “buongiorno”. Ci può essere un abisso fra una famiglia e l’altra, fra una persona e l’altra, fra un cuore e l’altro. Talvolta occorre veramente un passaggio interiore, così decisivo che lo paragono ad un viaggio missionario come quelli di san Francesco Saverio (uno dei miei miti quand’ero studente), che ha percorso tutto l’estremo Oriente. San Francesco Saverio parlava solo in latino (non conosceva le lingue), battezzava tutti, aveva un grande carisma per la missione.
In questo scorcio di anni, la Diocesi è tutta impegnata a considerare come lo splendore della risurrezione di Gesù scenda nella nostra vita, nel cosmo. Abbiamo paragonato l’evento della risurrezione, che è impegno di Dio, opera di Dio, che tocca la terra e il cosmo attraverso Gesù, ad un “Big Bang” per la nostra fede, un evento che da Gesù promana e avvolge tutta la creazione, tutta l’umanità. È in atto, che siamo consapevoli o meno, che a crederci siano in tre o quattro oppure un miliardo di persone, una colata di Cielo. Diversi anni fa andai in Africa a trovare mio fratello missionario. Un giorno mi accompagnò sul vulcano Nyragongo, nel cuore del Kivu, all’equatore. Man mano che salivamo, condotti da una guida, si scioglieva la suola delle nostre scarpe. Siamo tornati giù di corsa, perché più si avanzava più la terra era incandescente e in alto si vedevano rigoli di fiamma, di fuoco, di lava che scendeva. Ma io parlo di colata di Cielo, un torrente fragoroso, carico di grazia, che attraverso mille ruscelli è arrivato anche a noi, è arrivato a bagnare la nostra testa: l’acqua del Battesimo. Ogni parola, ogni immagine sono inadeguate per esprimere quello che accadde quel giorno, di come fummo avvolti da quella colata di Cielo. Cose grandi, ma fatte proprio per noi. Riascoltiamo allora quelle parole: «Io ti battezzo (ti tuffo, ti immergo) nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Riecheggiano le parole che Dio Padre pronunciò su Gesù, che noi sbrigativamente passiamo in rassegna senza lasciarci sconquassare (cfr. Mc 1,11). «Tu sei figlio mio», dobbiamo dircelo nei momenti difficili, quando siamo giù di corda. Andrà male tutto, non riusciamo a rialzarci, ma siamo figli di Dio. E poi Dio arriva a dire «sei l’amato», l’unico, anche se sulla terra siamo in sette miliardi di persone. E infine, ciò sembra paradossale, Dio dice «tu sei una gioia per me». Si può aggiungere splendore al sole con un cerino? Eppure, è scritto così: noi possiamo aggiungere gioia allo splendore del Cielo!
Ecco quello che è accaduto il giorno del nostro Battesimo. È stato come se i nostri genitori, il nostro parroco, ci avessero dischiuso l’anima, come quando si apre una conchiglia e si trova una perla. Siamo fatti di Cielo.
Vorrei mettermi davanti, fare da capofila, per una grande e nuova iniziazione cristiana, perché, in verità, siamo diventati cristiani senza averlo deciso. Alcuni l’hanno deciso nel corso della vita, l’hanno deciso consapevolmente, drammaticamente, perché tra essere cristiani e non esserlo c’è un salto. Invito tutti noi a pensare al nostro Battesimo. Come dice uno scrittore contemporaneo, dobbiamo “far funzionare il Battesimo”, perché il Battesimo funziona solo se lo accendi. Chiedo l’impegno pastorale in tutte le parrocchie a preparare bene il Battesimo, che sia un momento di festa, ma anche di consapevolezza. Propongo di rincontrare i genitori dopo il Battesimo, accompagnarli nei primi anni di vita famigliare, anche se non sono sposati in Chiesa. Il Battesimo non si nega mai! Anche l’incontro con una persona che viene in parrocchia a prendere un certificato, è occasione per riagganciare un rapporto, per chiedere come quella persona sente Dio, come lo vive. Ecco, allora, tutta una Diocesi che si rituffa nel Battesimo. Penso la Diocesi come una piscina dove si tuffano e riemergono cristiani entusiasti, capaci di testimonianza, obbedienti alla volontà di Dio. Sia lodato Gesù Cristo.