Omelia nella Solennità di San Marino
San Marino Città (RSM), 3 settembre 2019
Sir 14,20-15.4
Sal 47
At 2,42-48
Mt 5,13-16
Eccellenze,
carissimi amici,
nell’oggi della liturgia le distanze si accorciano. Marino, nostro fondatore e patrono, ci è vicino. Per la comunione dei santi, la fede ci assicura un vincolo di appartenenza reciproca – di Marino con noi e tra di noi con Marino – che ci spinge a domandare l’intercessione di san Marino. Intercedere: parola che significa il mettersi tra l’uno e l’altro, andare dall’uno all’altro, avanti e indietro in una sorta di “spola”, tra Marino e Dio per noi. Marino parla a noi del progetto di Dio e parla di noi al Signore. Chi è così presuntuoso da non sentire la necessità di essere soccorso? C’è l’aiuto che ci offriamo reciprocamente, soprattutto in famiglia, preziosissimo. C’è il sostegno che viene dalla condivisione delle competenze, la sussidiarietà dei corpi sociali. C’è il servizio di chi provvede al bene comune con la politica, con la sicurezza e con la promozione della cultura (scuola, università, istituzioni educative). Quanto bene c’è nella nostra società sammarinese. Ne avessimo un po’ più di riconoscenza… Per parte mia dico “grazie”.
Ieri, attraverso il signor Segretario di Stato agli Esteri, c’è stato conferito un prestigioso riconoscimento: la Palma d’Oro di Assisi per la pace. Ma abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. L’effige di san Marino lo ritrae nell’atto di indicare una pergamena con la scritta: «Libertas». Non faccio torto allo scultore immaginando san Marino che indica il Cielo, chiedendo di alzare gli occhi a Dio. Noi preghiamo? Preghiamo abbastanza, preghiamo bene? Crediamo nella forza della preghiera? Perdonate la metafora: pregare è come slegare le mani dell’Onnipotente, ed è lui che lo desidera, non perché non sia capace di intervenire, ma perché vuol farci fare l’esperienza della figliolanza, starei per dire l’esperienza dell’infanzia, l’infanzia spirituale, che è una conquista. Gesù ha detto: «Se non diventerete come bambini… ». Non ha detto “se non ritornerete”; non suggerisce, dunque, una regressione infantile, ma un balzo in avanti nel cammino spirituale. Ecco cosa abbiamo chiesto, a mani alzate, all’inizio di questa celebrazione: che la nostra comunità sia conforme allo stile di vita dei primi cristiani, uno stile che tanto affascinava il nostro santo fondatore. Poi, abbiamo chiesto di saper proseguire con fedeltà l’opera da lui iniziata. Dunque, preghiamo per due intenzioni: ottenere la conformità ed essere in una fedeltà. Inevitabile un esame di coscienza. Ho esordito citando il bene che c’è tra noi, “il buon miele del nostro alveare” – e ho detto grazie – ma è necessaria anche la conversione, con tanto di pentimento, richiesta di perdono, riparazione. Non ci piace come, da fuori, talvolta veniva rappresentata la nostra Repubblica. Testo per il nostro esame è la Seconda Lettura proclamata in questa celebrazione (cfr. At 2,42-48). «Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune. Spezzavano il pane nelle loro case con semplicità e letizia di cuore…». È un prezioso fotogramma scattato dall’evangelista Luca sulla prima comunità cristiana e, in uno scatto successivo, Luca aggiunge: «Erano un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32). Il ritratto della comunità dei primi tempi ci vien dato come profezia, ideale, modello per i nostri rapporti, da calare nella concretezza, nella complessità delle relazioni sociali. Dunque, profezia e concretezza. Ce lo siamo domandati in tanti, ce lo confidiamo: «Ce la farà la Repubblica di San Marino a superare questa crisi, la crisi morale, che preoccupa la società?». Talvolta, in passato, si è tenuto nascosto il male; oggi viene messo in luce e questo, di per sé, è positivo. Ma non dall’esterno, bensì dall’interno, può venire la rigenerazione. Rigenerazione vuol dire, anzitutto, saper trarre profitto dai propri sbagli e ripartire, dar prova della nobiltà dell’animo, che sicuramente non è venuta meno in nessuno. Rigenerazione è un appello all’impegno di ciascuno, per la propria parte. Insieme per il bene comune. Diversi e collaborativi, secondo le ragioni della convivenza e la convivenza delle ragioni. Ho toccato con mano, in questi anni, come in ogni espressione culturale, in ogni raggruppamento, ci siano persone che vogliono sinceramente il bene della comunità. Credo si possa ripartire. Non è troppo tardi per restituire quanto è stato tolto, intendo restituire la speranza.
In questo tempo, all’ordine del giorno dell’opinione pubblica e della politica c’è la discussione sui temi etici, delicatissimi, dove ognuno deve connettersi con la propria coscienza. Premetto il rispetto verso le dinamiche della democrazia e il riconoscimento della buona fede di tutti gli attori del confronto. L’interruzione volontaria della gravidanza, ad esempio, è da tutti riconosciuta come un male, una soluzione tutt’altro che indolore e fatta a cuor leggero, e tutti riconosciamo come priorità la tutela della maternità, senza dimenticare gli altri soggetti coinvolti. Faccio, a nome della comunità cristiana, una solenne promessa a San Marino, alle mamme e ai papà, alle famiglie sammarinesi: qualunque sia l’esito del dibattito faremo il possibile per tutelare la maternità, con programmi di aiuto – cosa che è già in atto da anni –, di sostegno, di accompagnamento. Ci impegneremo a difendere i diritti del nascituro e a proclamare la bella notizia della vita. Sosterremo programmi educativi per favorire, soprattutto fra i giovani, il valore prezioso e intangibile della vita, un impegno globale: cultura, relazioni, stili adeguati di vita, gioia di vivere. Ci spingono a questo, anzitutto, la responsabilità e l’amicizia, cemento della nostra comunità, motivazioni di ragione, antropologiche e giuridiche, che non possiamo rinnegare in una società laica, libera, democratica come la nostra, in cui tutti devono portare il proprio pensiero. Ma ci sono anche ragioni di fede. Ieri sera i giovani radunati in Basilica per la Veglia per San Marino hanno cantato il Salmo 139: «Signore, tu mi hai creato e mi hai tessuto nel grembo di mia madre». Prima viene Dio e poi viene la madre. «Mi hai fatto come un prodigio», prosegue il Salmo. Ogni bambino che viene al mondo è un prodigio: Dio non fa scarti. Ci sono limiti e ci sono fragilità, ma non sono altro che una chiamata a diventare fratelli. Così sia.