Omelia nella solennità di San Leone
San Leo, 1° agosto 2019
Gn 12,1-4
Fil 4,4-9
Mt 7,21-27
1.
Dio disse ad Abramo: «Va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò; io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (cfr. Gn 12,1-4).
Appena quattro righe ed è già vertigine!
Nelle parole del Signore ad Abram sta la vicenda storica e credente di san Leone, nostro padre nella fede.
Nelle stesse parole nasce quell’embrione di popolo che poi è cresciuto nella storia facendo incontrare la propria fede con le circostanze della vita. Quel popolo siamo noi! Un popolo che «non da sangue né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio è stato generato» (cfr. Gv 1,13).
Se oggi facciamo festa a san Leone è perché ci sentiamo forti di una predilezione che il Signore ha avuto facendo iniziare qui, per l’opera di un silente e misterioso apostolo, la grande avventura della vita di fede del nostro popolo.
Chiediamo d’essere fedeli alla nostra vocazione; di aggiungere un’altra pagina a questa storia di fede. «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò». Di quella obbedienza noi siamo i figli. Il “sì” obbediente e fiducioso al Signore è sempre generativo!
2.
Uscire. In questo verbo si può riassumere non solo la vicenda biblica di Abramo e quella storica di Leone (partito da Arbe, in Dalmazia, e giunto quassù sul monte Feretrum), ma l’esistenza dell’uomo e la sua vicenda credente.
Nascere è uscire dal grembo materno. Fra il punto di partenza e quello di arrivo la nostra vita è un continuo lasciare, un continuo uscire da situazioni per assumerne di nuove. Bambino, giovane, adulto; a poco a poco è tutta una vita che ci lasciamo alle spalle… Ma l’uomo di fede può vedere in ogni cambiamento un’occasione di crescita, un’occasione di avvicinamento a Dio, per camminare sempre più alla sua presenza, una possibilità di conversione, una introduzione a novità di vita.
«Affida a me – sussurra il Signore – tutto quel mondo di cose che vai mendicando qua e là. Io sono il tuo Dio! Te lo giuro!». Il Signore non permette all’Abramo che è in noi di andare dietro ad altri dei (per Abramo fu il monoteismo). Se Abramo accetta di seguire il Signore, deve tenere il passo che lui vuole (fu l’aspetto etico della religione rivelata) e il suo futuro sarà garantito dalla fedeltà e dalla potenza di questo Dio. All’invito segue la promessa.
Uscire: obbedienti e coraggiosi; coraggiosi perché pieni di fiducia e per questo anche intraprendenti. C’è tutta una Chiesa che vuole essere “in uscita”. Ce lo ricorda spesso papa Francesco. Che questa espressione non diventi “frase fatta”, slogan, o peggio ancora, retorica.
Perché una Chiesa sia “in uscita” occorre che io per primo (ognuno lo dica a se stesso) vada oltre me verso l’altro. Dipende da me: prendere coraggio, superare timidezze, gettare ponti (fosse anche solo un saluto, un sorriso, un sms, due righe per cominciare… ). Occorre superare chiusure, intimismi e guardarsi attorno, saper cogliere i punti critici, attenti agli avvenimenti; prepararsi a dare un contributo in questi giorni di dibattito sui grandi temi di società, temi sui quali, un tempo, il pensiero di tutti era convergente. Guardo all’Italia, ma soprattutto alla Repubblica di San Marino: al dibattito sull’aborto, sulla famiglia, sul fine vita. Non crociate, ma presenza testimoniante. In Italia il superamento tra una sorta di contrapposizione fra cattolici; semplificando un po’, tra “cattolici pro immigrati” da una parte e “cattolici contro l’aborto” dall’altra. Ripeto: una semplificazione, una deriva politica, quando non è addirittura strumentalizzazione. Non dobbiamo permettere questa separazione, ma realizzare un’unica fedeltà.
Occorre una Chiesa che non cerca privilegi per sé, ma che desidera solo la libertà di annunciare il Vangelo. Si sente a suo agio in ogni luogo, in ogni situazione, in ogni ambiente, per servire.
3.
Uscire: perché Dio è così! Non è “Signore di recinti”. Il Padre manda il Figlio a cercare chi è perduto, effonde il suo Spirito per rinnovare la terra. Dio è tutto comunicazione, dono, uscita da sé!
Uscire: un verbo che fa riferimento ad un’ascesi e ad una mistica.
Ascesi: superare la tentazione della chiusura, del farsi il proprio nido, del serrare le fila con chi ci sta, «con chi è dei nostri» (cfr. Lc 9,49); vincere la pigrizia dell’aspettare stando al coperto… Ribadire continuamente il nostro pensiero, senza tener conto del pensiero altrui (senza far trasparire l’accettazione di un pensiero diverso dal nostro); andare con equipaggiamento adeguato, cioè leggero, anzitutto con la Parola di Dio, senza lagnarci della nostra povertà, con un reale distacco dai soldi, dal desiderio di apparire, da ogni tipo di maschera (essendo noi stessi, con le nostre fragilità), con la castità del cuore (il distacco che non strumentalizza l’altro).
Mistica: la mistica della fraternità, lo stupore di sentirci figli dell’unico Padre. La mistica dello sguardo: non fermarsi ad uno sguardo orizzontale sugli avvenimenti (così come sembrano accadere), ma alzare lo sguardo verticalmente e chiedersi, secondo lo sguardo di Dio, che cosa lui ci stia dicendo o chiedendo. La mistica della croce. Gesù, in uscita da sé, perde tutto: gli amici, il posto in sinagoga, gli “Osanna” della folla, fino a sentirsi un «verme e non uomo» (Sal 22,7); perde perfino il sentimento della prossimità col Padre: «Perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Secondo la Lettera agli Ebrei, Gesù ha pregato «con forti grida e lacrime» davanti alla sua passione, «ed è stato esaudito» (Ebr 5,7). Non ha chiesto di non soffrire e di non morire… ma di vivere da figlio la croce, per questo è stato esaudito. San Leone ci aiuti ad affrontare con lo spirito di Gesù le grandi prove di oggi… Così sia!