Omelia nella Solennità di San Giuseppe

Pennabilli, Cappella del Vescovado, 19 marzo 2020

2Sam 7,4-5.12-14.16
Sal 88
Rm 4,13.16-18.22
Mt 1,16.18-21.24

Questa mattina papa Francesco, commentando il Vangelo sulla figura di san Giuseppe, evidenziava come egli fosse un contemplativo, un uomo di fede perché contemplativo, cioè capace di adorazione. E il Papa arrivava a dire: «La Chiesa, o adora, o è come dimezzata».
Non ho la presunzione di aggiungere nulla a quello che ha detto il Santo Padre, però mi incombe il dovere di fare una breve omelia. Vedo in Giuseppe l’uomo della fede, l’uomo della speranza e l’uomo della carità.
Giuseppe, uomo della fede. Giuseppe si consegna interamente al progetto disegnato da Dio su di lui. Angeli e sogni lo accompagnano… Ma non è così anche per noi? Pensate agli angeli che ci hanno aiutato a crescere, che ci hanno aiutato a scoprire la nostra vocazione e a trovare la nostra strada e agli angeli che ci stanno indicando, anche adesso, la via del Cielo. Inoltre, tolti i fatti della prima infanzia di Gesù narrati dai Vangeli, non ci furono “svolazzi di angeli” su Giuseppe, nè sulla casa di Nazaret.
Giuseppe, uomo della speranza. Passando davanti al paese di Maciano (vicino a Pennabilli), ho visto che, sul davanzale di una casa, i bambini hanno messo un grande cartellone con la scritta: «Andrà tutto bene». I bambini hanno il diritto di dire queste cose. Incoraggiano anche noi. Come firma del cartellone hanno messo l’impronta delle loro mani.
Chiedo: che cosa intendiamo per speranza? Si può parlare di speranza in tre modi. C’è la speranza che è come una bugia pietosa, utilizzata quando non ci sono parole e si deve confortare o incoraggiare. La classica bugia che accompagna “la pacca sulle spalle”. Nella letteratura classica si racconta di Pandora, il personaggio della mitologia che deve castigare gli uomini per aver rubato il fuoco agli dei. Per castigare gli umani Pandora, mandata da Zeus, svuota il suo vaso di tutti i mali possibili che vi sono racchiusi; l’ultimo male, quello che è più in fondo, è la speranza, che inganna i mortali (pietosa bugia).
Poi, c’è la speranza in una seconda accezione: la speranza come risorsa umana. Non è solo caratteristica di un buon temperamento, ma anche capacità di proiettarsi sul futuro. Sono sicuro che l’umanità si riprenderà da questa grande crisi; la speranza è sicuramente quella che anima gli scienziati, i politici, ma anche tutti noi. Tuttavia, questa speranza si arresta di fronte alla morte. Si può parlare della speranza anche in un altro modo. Noi l’abbiamo fatto con il nostro Programma pastorale negli anni scorsi, guardando Gesù Risorto. Anche i progetti più nobili, più alti, che riusciamo a raggiungere – pensiamo ai traguardi della scienza, alle conquiste del mondo operaio e alle conquiste delle donne – si arrestano davanti al grande enigma della morte. Cosa c’è oltre? Gesù è risorto, è il fondamento ultimo della nostra speranza. Con la risurrezione è introdotta nel mondo una pienezza di senso.
Giuseppe, uomo della carità. Giuseppe ha compiuto gesti e azioni eroiche nel nascondimento della sua vita e nella casa di Nazaret. Penso alla sua fedeltà nel quotidiano, alla sua premura per la famiglia, al rispetto totale per la sua sposa, all’amore per quel bambino non suo; per questo motivo lo invochiamo come patrono della Chiesa e come intercessore presso la divina Provvidenza e gli chiediamo di provvedere alle nostre necessità, come ha provveduto a quelle della Santa Famiglia. Gli chiediamo di esserci vicino nel momento della morte, come lui ha avuto la grazia di avere accanto a sè Maria e Gesù. San Giuseppe, accogli la nostra preghiera, insegna anche a noi l’eroismo della carità nelle vicende della nostra famiglia e della nostra società.
Questa sera alle ore 21 metteremo una luce o un drappo bianco sul davanzale delle nostre finestre e ci uniremo a tutti i cristiani d’Italia nella preghiera del Rosario che abbraccia tutta la nazione, che abbraccia l’Europa e il mondo intero segnato da questa pandemia. Sia lodato Gesù Cristo.