Omelia nella Solennità di Maria SS. Madre di Dio
San Marino Città (RSM), Basilica del Santo Marino, 1° gennaio 2021
Nm 6, 22-27
Sal 66
Gal 4,4-7
Lc 2,16-21
Stella maris. Iniziamo così il 2021: con lo sguardo rivolto alla Vergine Maria, stella del mare, madre della Speranza. Avanziamo nel cammino che è ancora difficile, penoso: siamo sulla stessa barca, in vista di un orizzonte incerto, ma con una bussola che ci orienta. È quanto papa Francesco ci ricorda all’inizio del nuovo anno con il suo Messaggio per la Pace, indicando a tutti un processo educativo per acquisire una cultura della cura basata su principi inalienabili, «come percorso di pace».
Permettete che anch’io citi il testo che papa Francesco mette nel suo Messaggio da un discorso che Paolo VI tenne in un parlamento africano: «Non temete la Chiesa; essa vi onora, vi educa cittadini onesti e leali, non fomenta rivalità e divisioni, cerca di promuovere la sana libertà, la giustizia sociale, la pace; se essa ha qualche preferenza, questa è per i poveri, per l’educazione dei piccoli e del popolo, per la cura dei sofferenti e dei derelitti» (Discorso ai Deputati e ai Senatori dell’Uganda, Kampala, 1° agosto 1969).
Il prendersi cura è l’opposto dell’indifferenza. Il primo schiaffo, il più bruciante e sonoro, che Dio ha ricevuto è stato quello di Caino che osò dire: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gn 4,9). Prendersi cura è atteggiamento indispensabile tra fratelli e necessario soprattutto in questi giorni di fragilità.
Papa Francesco nel suo Messaggio dedica pagine bellissime ad un percorso biblico attraverso il quale fa vedere come Dio creatore sia modello per tutti noi e come tutta la Bibbia non sia altro che il racconto del suo piegarsi amorevole sull’umanità. Nella Genesi, ad esempio, è messo in luce il rapporto fra l’uomo e la terra e fra gli uomini come fratelli. Dio affida alle mani di Adamo il giardino con l’incarico di coltivarlo e custodirlo. Ciò significa, da una parte rendere la terra produttiva, dall’altra proteggerla, farle conservare le sue capacità di sostentamento per la vita. I verbi “coltivare” e “custodire” descrivono il rapporto di Adamo con la sua casa-giardino, ma indicano pure la fiducia di Dio verso di lui, facendolo signore e custode della creazione. «In questi racconti antichi – scrive il Papa – ricchi di profondo simbolismo, era già contenuta una convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità» (LS 70). Allora il Creatore si china sui progenitori, perfino su Caino, dandogli un segno di protezione. Tutta la Bibbia è storia della tenerezza di Dio verso il suo popolo. Dall’istituzione dello Shabbat, il riposo festivo, per dire che l’uomo è libero, all’esodo, alla liberazione e all’invio dei profeti, che alzano la loro voce in favore degli ultimi. Dio si prende cura dell’umanità inviando il suo stesso Figlio, mandato a «portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18). Tema ripreso, come avete sentito nella Seconda Lettura: «Ma quando venne la pienezza del tempo il Signore mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,5). Al culmine della sua missione, il Figlio di Dio suggella la sua cura offrendosi sulla croce in redenzione. Così ha aperto la via dell’amore e dice a ciascuno: «Seguimi, anche tu fa’ così» (cfr. Lc 10,37). Questo prendersi cura dovrà essere distintivo dei discepoli di Gesù. I primi cristiani praticavano la condivisione perché nessuno fosse bisognoso tra loro. Ricorderete i due quadretti degli Atti degli Apostoli (cfr. At 2,42-48; 4,32-35). I Padri della Chiesa insistevano sul fatto che la proprietà andasse intesa per il bene comune e la miseria dei tempi suscitò tanti nuovi carismi, nuove forze al servizio della carità (pensate agli ordini religiosi, alla fondazione di ospedali, ricoveri, istituti di sollievo, di educazione e la pratica delle opere di misericordia corporali e spirituali).
Infine, papa Francesco enuncia i principi base per una cultura della cura. Dice che è un prezioso patrimonio, disponibile a tutte le persone di buona volontà, da cui attingere la grammatica della cura. Li enuncia semplicemente: la cura come promozione della dignità e dei diritti della persona, la cura del bene comune, la cura mediante la solidarietà e infine la cura e la salvaguardia del creato. Questi principi sono la bussola per imprimere una rotta veramente umana al processo di globalizzazione. Scrive: «Incoraggio tutti a diventare profeti e testimoni della cultura della cura, per colmare tante disuguaglianze sociali». Il richiamo poi diventa denuncia. C’è una pagina drammatica: «Purtroppo molte regioni e comunità hanno smesso di ricordare un tempo in cui vivevano in pace e sicurezza. Numerose città sono diventate come epicentri dell’insicurezza: i loro abitanti lottano per mantenere i loro ritmi normali, perché vengono attaccati e bombardati indiscriminatamente da esplosivi, artiglieria e armi leggere. I bambini non possono studiare. Uomini e donne non possono lavorare per mantenere le famiglie. La carestia attecchisce dove un tempo era sconosciuta. Le persone sono costrette a fuggire, lasciando dietro di sé non solo le proprie case, ma anche la storia familiare e le radici culturali». Dal richiamo alla denuncia, dalla denuncia ad una proposta coraggiosa, già formulata in un precedente messaggio: «Costituire con i soldi che s’impiegano nelle armi e in altre spese militari un “Fondo mondiale” per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri»! (Videomessaggio in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2020, 16 ottobre 2020).
La cultura richiede un processo educativo. La bussola dei principi sociali elencati dal Papa costituisce uno strumento affidabile per vari contesti fra loro correlati: la famiglia, la scuola e l’università, le comunicazioni sociali, le istituzioni religiose e gli impegnati nel servizio alle popolazioni e nel campo della ricerca. A questi e a tutti il Papa propone un patto educativo globale. Tutti siamo “artigiani della pace”, con grandi orizzonti, attenti anche alla cura delle relazioni interpersonali, quotidiane, e questo esige la conversione del nostro cuore, un cambio di mentalità per creare la pace e la fraternità. Così sia.