Omelia nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio
Pennabilli, Santuario Beata Vergine delle Grazie, 1° gennaio 2020
53° Giornata Mondiale della Pace
Nm 6, 22-27
Sal 66
Gal 4,4-7
Lc 2,16-21
Rivolgo il primo saluto e il primo augurio a voi, cari Sindaci, che lavorate per il bene comune, talvolta anche sganciati dalle vostre appartenenze politiche, perché quando rivestite la fascia tricolore siete sindaci di tutti. Che sia davvero – lo dico per tutti – un anno di grazia, cioè della benevolenza del Signore, un anno di comunione e un anno di pace. Parlo non solo di assenza di guerre e conflitti; vorrei che fosse – proprio perchè dono dall’alto – un anno di civiltà, frutto di concordia, collaborazione, solidarietà per rendere sempre più vivibili la nostra società e il nostro territorio, per una gioiosa convivenza nelle nostre valli (Val Marecchia, Val Foglia, Val Conca, Val di Teva, ecc.) e perché si possa sperimentare un’autentica fraternità. Fraternità è una parola che mette d’accordo tutti, anche i laici. Basti pensare alle tre parole della Rivoluzione francese (fraternité, égalité, liberté). E la fraternità è una parola di Gesù.
Nella preghiera – perché questo è un contesto di preghiera – vedo le tante difficoltà del cammino della pace, anche nelle relazioni più prossime. Si fa fatica a camminare insieme. C’è chi corre troppo, chi resta indietro, chi fa storie, chi non ci sta… Ho la fortuna di avere una piccola cappella nella residenza episcopale e talvolta, dette le preghiere canoniche, mi lascio andare alla fantasia; vedo cuori irrorati dalla fraternità, vite liberate dalla schiavitù, sguardi capaci di vincere l’indifferenza e segni di non violenza nei rapporti. Vedo anche mani tese verso chi è solo, chi è svantaggiato, chi è migrante; passi ispiranti buona politica, cammini di dialogo e di riconciliazione.
I Messaggi del Santo Padre illuminano le Giornate della Pace, che abbiamo iniziato a celebrare nel 1967 con san Paolo VI. Questi i titoli delle ultime Giornate della Pace: «La fraternità fondamento della pace», «Non più schiavi ma fratelli», «Vincere l’indifferenza», «La non violenza come stile di una politica per la pace», «La buona politica è al servizio della pace». Quest’anno il tema è: «La pace come cammino di speranza». Permettetemi, prima di accennare brevemente a quello che dice il Papa nel Messaggio di quest’anno, due precisazioni. La prima: si ottiene tanto quanto si spera. È una frase antica, dei Padri della Chiesa. Chi non ha speranza, non arriva da nessuna parte, si rassegna, non prende iniziative, cede, pensa non valga la pena nulla. Pensa come la volpe nella fiaba di Esopo: «Lascio perdere, l’uva non è ancora matura». La seconda: noto che il Papa, ultimamente, usa spesso tradurre il vocabolo della beatitudine, «beati gli operatori di pace», con il termine «artigiani della pace». Si può lavorare in serie, si può lavorare in grande, si possono usare grandi energie. L’artigiano, invece, è una persona che ha un contatto diretto con l’opera che compie; ha a che fare con la materia che plasma, pialla, aggiusta, collega, ecc. Allora, dire che gli operatori di pace sono degli “artigiani” significa anzitutto dire che si possono mettere le mani sulla pace, si può fare un ritocco, si può lasciare un segno. Poi, l’artigiano è colui che cesella, opera con precisione, nel dettaglio. Penso ai rapporti con le persone che conosciamo, con quelle che non conosciamo, con quelle che ci sono care, intime, con le persone verso cui abbiamo dei doveri di vigilanza, di cura, di custodia. Possiamo sentirci «artigiani della pace»: abbiamo noi le mani nella vicenda della pace.
Il Papa – rimando alla lettura del testo – dice che la pace è un cammino. E si fa fatica a camminare, ci sono tappe da compiere. È un cammino di speranza di fronte ad ostacoli e prove. Poi dice che la pace è un cammino di ascolto basato sulla memoria. Probabilmente ha scritto il suo messaggio di rientro dal viaggio in Estremo Oriente. Aveva appena visto le cicatrici, ancora forti, del bombardamento atomico su Nagasaki e su Hiroshima; aveva potuto vedere le grandi ferite, ricevendo alcuni sopravvissuti… Fare memoria significa non solo non dimenticare, ma soprattutto imparare dalla storia.
Inoltre, la pace come cammino di riconciliazione nella comunione fraterna e nel perdono. Parla del «perdonare settanta volte sette» (cfr. Mt 18,22). Aggiungerei – seguendo la lettura dell’evangelista Luca – «settanta volte sette al giorno»: facendo i calcoli, sarebbe un perdono ogni tre minuti. Questo per essere discepoli di Gesù, non per essere monsignori o abbadesse.
Infine, il Santo Padre affronta il capitolo molto importante della conversione ecologica: la salvaguardia del Creato, senza perdere di vista il Creatore. Mi fa piacere che anche la stampa laica usi spesso la parola “creato”: una reminiscenza che indica che noi veniamo da Dio.
Trovo grande pertinenza nel rivolgermi ora alla Madonna delle Grazie, che vediamo in questa antica e santa immagine miracolosa come Regina della Pace. Rileggo con stupore le parole del Vangelo: «Maria conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (cfr. Lc 2,51). Che cos’erano le cose che custodiva in cuore? Che cosa passava per la mente della Madonna? Quali erano i suoi pensieri? Innanzitutto, considerava gli avvenimenti della vita di Gesù. Pe tutta la vita li ha pensati. Non solo i Vangeli dell’infanzia, ma anche i Vangeli della Pasqua. Ma anche gli avvenimenti che l’hanno coinvolta profondamente. Gesù le è stato dato in una maniera singolare: il Cielo ha operato su di lei, starei per dire “di prepotenza”, è entrato “a gamba tesa” nella sua vita. Maria aveva i suoi progetti, i suoi sogni, e il Signore ha cambiato tutto.
Gesù era nel cuore di Maria: era la sua gioia, la sua ricchezza. Ognuno, infatti, ha il cuore dove ha il suo tesoro (cfr. Lc 12,34) e Gesù era il suo tesoro. Ma vorrei dire anche che Maria, a sua volta, era nel cuore di Gesù. Anzi, non vi era che un solo cuore. Questo è il mio annuncio: ciascuno di voi è nel cuore di Gesù. Che ognuno possa iniziare l’anno con questa certezza: «Tu sei nel cuore di Gesù, così come sei, con le tue preoccupazioni, con le tue difficoltà, con i tuoi difetti». È il mio augurio: che Gesù sia nel vostro cuore, sia il vostro tesoro e sia la nostra gioia. Anzi, auguro che non vi sia che un cuore solo, il vostro unito a quello di Gesù. Così sia.