Omelia nella S.Messa per le Esequie di mons. Elio Ciacci

Sant’Agata Feltria, 13 gennaio 2020

2Cor 5,6-10
Mt 5,2-12

Cari familiari,
Cari sacerdoti, religiose e religiosi,
Signor Sindaco,
Cari fedeli tutti,
con l’offerta di questa liturgia l’anima di mons. Elio Ciacci viene accompagnata al cospetto di Dio, mentre affidiamo la salma alla “nuda terra”, come ha chiesto nel suo testamento, in attesa della risurrezione.
L’impressione che ricevevo nell’incontro con mons. Ciacci era quella di un’anima in pace. In pace con Dio, in pace con se stesso e con gli altri. Una persona serena e rassicurante, padrona di sé, riservata, prudente, paziente, sempre umilmente sorridente. Egli ora è giunto a vedere, fissata e premiata in abbondanza per gli sforzi compiuti per raggiungerla, la Pace, trasformata da provvisoria in eterna, da umana (pur attraversata dalla grazia) a pace in pienezza, per sempre, divina.
Nella Prima Lettura san Paolo ci dice che tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Dio, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute. Ora racconto opere, ma nel far questo non contravvengo al suo desiderio di reticenza. Il mio è un “Magnificat” per quello che il Signore ha fatto nella sua creatura. Penso soprattutto alle opere di mons. Ciacci legate al ministero e ai ministeri a cui il Signore lo ha chiamato. Dunque, lode, riconoscenza, a Colui dal quale viene ogni dono. Il Signore l’ha chiamato ed elevato al ministero sacerdotale, facendolo collaboratore, amico e – per la profondità del suo rapporto con Cristo – sposo. Il Signore l’ha associato alla dignità e alla funzione di presidenza della comunità del popolo di Dio, come maestro, sacerdote, pastore, con poteri immensi. Poteri di perdono, di verità, di santificazione e, per quanto riguarda mons. Ciacci, doni di intimità ineffabili. Una spiritualità forse tradizionale, secondo gli schemi della formazione di allora, ma solidissima, ben radicata e poi coltivata anche attraverso la sua appartenenza all’Istituto Sacerdotale del Sacro Cuore.
Fu chiamato a diverse e successive mansioni: parroco, direttore spirituale del Seminario, vicario generale, cancelliere. Poi, a servizio dalle care suore, le Monache Clarisse e le Suore Dorotee di Sant’Agata Feltria, che dobbiamo ricordare insieme alle Maestre Pie dell’Addolorata.
Fu parroco di una parrocchia piccola, San Donato, parrocchia di quei tempi, quando ogni tabernacolo poteva avere il suo sacerdote. Qui, mons. Elio fondò in pochi anni l’Azione Cattolica in tutte le sue diramazioni; promosse un’intensa pastorale vocazionale; esercitava la direzione spirituale. Ci sono sacerdoti, un missionario laico, suore, che sono frutto della sua preghiera e della sua guida spirituale e lo ricordano con affetto e immensa gratitudine.
Il Signore lo convocò in Seminario come direttore spirituale dei candidati al sacerdozio. Un ministero nascosto, ma delicatissimo, tra i giovani per aiutarli nelle difficoltà del discernimento, della decisione e della formazione. Un ministero importante, tra i più importanti, determinante in foro interno per i ministri della Chiesa. In Seminario mons. Ciacci è rimasto per quasi vent’anni. In quel periodo imitò gli anni oscuri di Nazaret del Signore Gesù ed esercitò l’arte delle arti, cioè moderare e modellare la personalità spirituale delle anime. Poi, il servizio di vicario generale accanto a due vescovi, un incarico preminente della Curia diocesana, in aiuto al vescovo per il governo della Diocesi (come dice il Codice di Diritto Canonico), da affidarsi ad un presbitero dottrinalmente sicuro, degno di fiducia, stimato dal presbiterio e dall’opinione pubblica, saggio, moralmente retto, con esperienza pastorale ed amministrativa, capace di instaurare autentiche relazioni umane. Mons. Ciacci, a causa della malattia e della mutilazione della voce, conscio dei suoi limiti, seppe mettersi da parte, senza risentimenti ma ancora e sempre a servizio, discreto, silenzioso, fedele nell’ufficio di cancelliere vescovile. Ministeri vari, ma tutti dell’unico ministero sacerdotale; ministeri conclusisi con la sofferenza, il nascondimento, il raccoglimento, l’attesa, ministero – anche questo – quanto mai attivo e fecondo soprannaturalmente. «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). Non posso tralasciare alcune parole del Signore – lette poco fa nel Vangelo – che sembrano applicarsi alle virtù con le quali mons. Ciacci si dedicò alle sue opere, potremmo dire il suo stile: «Beati i poveri in spirito, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore, beati gli operatori di pace». Queste virtù partono da una beatitudine, una felicità, ma portano alla pienezza della beatitudine, della felicità: «… perché di essi è il regno dei cieli, perché ricevono il possesso della terra, perché hanno il contraccambio della misericordia, perché godono la visione di Dio» (cfr. Mt 5,3-9).
Preghiamo. Che da quella felicità, da quella pace, mons. Ciacci interceda per il nostro lavoro pastorale, per le vocazioni al sacerdozio e la formazione dei candidati, per la comprensione del primato di Dio su tutto e l’intelligenza delle necessità della comunione tra noi e col Signore e per la necessità e la bellezza della lode a lui, Cristo. Così sia.