Omelia nella S.Messa in suffragio di mons. Luigi Giussani

Borgo Maggiore (RSM), Santuario della Beata Vergine della Consolazione, 14 febbraio 2021

Lv 13,1-2.45-46
Sal 31
1Cor 10,31-11,1
Mc 1,40-45

Celebriamo il ricordo di mons. Luigi Giussani nell’anniversario della sua morte. Non può che essere una “celebrazione pasquale”, una Eucaristia. Si tratta del passaggio alla pienezza della vita dopo un percorso di sofferenza e di morte.
«Nella ultima tappa della sua vita don Giussani ha dovuto attraversare la valle oscura della malattia, dell’infermità, del dolore, della sofferenza, ma anche qui, il suo sguardo era fisso su Gesù, e così rimase vero in tutta la sofferenza, vedendo Gesù, poteva gioire, era presente la gioia del Risorto, che anche nella passione è il Risorto e ci dà la vera luce e la gioia e sapeva che – come dice il Salmo – anche attraversando questa valle, “non temo alcun male perché so che Tu sei con me e abiterò nella casa del Padre”. Questa era la sua grande forza: sapere che “Tu sei con me”» (cfr. Joseph Ratzinger, Omelie nelle Esequie di mons. Luigi Giussani, 24.2.2005).
Il Vangelo appena proclamato ha una forte pertinenza con l’esperienza spirituale di don Giussani nel momento della sua sofferenza. Il centro del racconto evangelico è l’incontro con la persona di Gesù: ad incontrarlo è un lebbroso e chi è il lebbroso se non un morto? Il suo corpo in decomposizione è già anticipo della sua morte. Ogni volta che il lebbroso incontra qualcuno è un fallimento: «Emani cattivo odore. Mi fai paura. Rappresenti la fine che io farò». Questa del lebbroso è una delle prime guarigioni compiute da Gesù, ma è anticipatrice di quella che sarà la Pasqua del Signore. In effetti questo brano è di una crudezza assoluta; la fede non è un analgesico: prende sul serio e fino in fondo la realtà del morire. Il racconto, però, anticipa che il tuo corpo risusciterà. La salvezza arriva sino al corpo, alla determinazione ultima della concretezza.
Gli esegeti ci insegnano che ogni episodio di incontro raccontato da Marco è già incontro con il Risorto. La fine del Vangelo di Marco è incompleta: «Gesù vi precede in Galilea» (Mc 16,7). È come in un giallo: dopo che sai la finale rileggi e capisci tutto. Tu attraverserai la morte, ma in realtà risusciterai come questo lebbroso. Anima e corpo non sono separati, ma insieme formano la persona umana. Il Vangelo dice che Gesù di fronte al lebbroso ha una reazione di commozione: il verbo esprime il tremore dell’utero, l’utero di una madre che sta per dare la vita.

Gesù toccò il lebbroso: c’è un contatto fisico. Gesù accetta di assumere su di sé la malattia da cui libera il lebbroso e non si tratta soltanto della violazione di una prescrizione igienica. «Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti». Diventa lui lebbroso. Questa condizione è la stessa del Servo sofferente che prende su di sé le nostre iniquità: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia… Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato» (Is 53,2-4).
Il lebbroso viene invitato da Gesù a mostrarsi ai sacerdoti e a offrire il sacrificio. Il Vangelo racconta che il lebbroso non va al tempio, non va dai sacerdoti, ma corre ad annunciare la buona notizia che è risanato. Annuncia con gioia che qualcuno l’ha reso vivo. L’annuncio ha preso il posto del sacrificio, perché l’unico sacrificato è Gesù: lui è fuori dalla città, è il «maledetto che pende dal legno» (cfr. Deut 21,23; Gal 3,13). C’è già la vittima!
Ogni lettore si sente identificato con chi è guarito: quello che prima cadeva a pezzi ora ha ritrovato la sua unità e la sua vita. I cristiani annunciano la vita ritrovata attraverso la morte di Gesù, fattosi lebbroso per noi, ed ora nella gloria.
Chiediamoci: qual è la mia lebbra? Quali le sue conseguenze?
Accostiamoci senza timore a Gesù che non ha orrore di noi: ci accetta come siamo e ci offre risurrezione.