Omelia nella S. Messa in ricordo di don Luigi Giussani
San Marino Città, 22 febbraio 2019
1Pt 5,1-4
Sal 22
Mt 16,13-19
Oggi celebriamo la festa della Cattedra di San Pietro e ricordiamo anche un grande testimone e maestro: don Luigi Giussani. Una bella e significativa coincidenza. Don Giussani preghi con noi per il Pietro di oggi, papa Francesco.
Io non se se gli amici, i fratelli e le sorelle di Comunione e Liberazione, mi sentano vicino (a dire il vero faccio poco per loro), ma io li sento vicini: li incontro nelle comunità parrocchiali, a servizio con umiltà e senza pretese.
La pagina evangelica riporta una domanda di Gesù molto coinvolgente. Le risposte per sentito dire non valgono. Quelle frutto di una sommaria istruzione dottrinale sono insufficienti; e non fanno molta differenza, a questo proposito, le risposte accademiche. Gesù vuole la risposta del cuore: «Chi sono io per te?».
Pietro aveva già dato una sua risposta, gridando sotto la spinta della paura e della fiducia: «Signore, salvami!» (Mt 14,30). Un giorno dirà a nome di tutti: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).
Le parole più vere sono quelle che nascono al singolare. Ognuno che abbia inseguito, contestato, litigato con Dio, ognuno che abbia assaporato anche una sola volta l’amore… può dare quella risposta che si costruisce con la vita, che non è una formula (E. Ronchi).
A Cesarea di Filippo, tappa centrale nel Vangelo di Matteo, Pietro risponde: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù, di rincalzo: «Non la carne, né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli (non ci sei arrivato da solo!)». Al confessore del Messia viene conferita la dignità di suo rappresentante. Gesù gli cambia nome: da Simone a Pietro. La tradizione biblica collega sempre il cambio del nome ad una missione speciale (così con Abramo, Sara, Giacobbe, ecc…). Il nome Pietro significa Roccia: la stabilità e la compattezza della futura comunità messianica poggerà su Cristo, ma anche su Pietro. La Chiesa appartiene a Cristo («la mia Chiesa»). Pietro non l’ha fondata, non è a disposizione del suo arbitrio e non ne è il capo per doti particolari. Tuttavia, dopo la risurrezione, Gesù l’associa a sé come garante dell’unità e della stabilità della Chiesa.
Non mi aspetterei di trovare in una sessione del Concilio di Trento un’espressione così forte: «Sarà con le stesse qualità della sposa del Cantico dei Cantici, con la sua bellezza, ossia con la sua unità, tamquam acies ordinata, che la Chiesa sbaraglierà il mondo» (cfr. Concilio di Trento, Sessione XXIII, Cap.4).
Insieme alla metafora della roccia Gesù adopera anche quelle delle chiavi e del legare e sciogliere, allusione al ministero petrino di governo e di magistero. Questa investitura vale anche per chi succede a Pietro: come potrebbe la comunità messianica godere di un servizio di unità se la roccia non sarà tale per tutto il tempo? La dimensione petrina è esercitata in modo proprio dal vescovo di Roma, il Papa, successore di Pietro. Ma ogni cristiano che risponde a Gesù: «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente», è, in qualche modo, roccia viva, radice di Chiesa.
Durante un’udienza pubblica Giovanni Paolo II, con grande stupore del seguito e tra l’imbarazzo del cordone di sicurezza, scavalcò la staccionata e, raggiungendo un ragazzo disabile seduto in carrozzina, mise le sue mani grandi e vigorose sulla sua testa e stringendola forte ripeté: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Il ragazzo stupefatto per quelle parole, pianse di commozione.
Riprendo l’interrogativo di Gesù: «Tu, chi dici che io sia?». Ma dire non basta. Siamo specialisti di facili parole. La vita non è ciò che si dice della vita, ma ciò che si vive della vita. E Gesù Cristo non è ciò che io dico di lui in una formula esatta, ma ciò che io vivo del suo amore crocifisso… Anzi, di quanto lascio vivere di lui in me!