Omelia nella S. Messa di Investitura dei nuovi Canonici della Cattedrale
Pennabilli (Cattedrale), 1 agosto 2018
Gn 12, 1-4
Sal 15
Fil 4, 4-9
Mt 7, 21-27
(da registrazione)
La prima caratteristica di san Leone, messa in luce dalla liturgia, è la provenienza lontana: Leone è un esule, un migrante a causa del Vangelo. Il Signore l’ha fatto uscire dalla sua patria (Arbe in Dalmazia, l’attuale Croazia) e dalla casa di suo padre. Il Vescovo di Rimini, Gaudenzio, lo invia sui monti dell’entroterra per portarvi l’annuncio di Gesù Risorto. Non facciamo fatica a vedere nella sua vicenda l’avventura spirituale di Abramo: «“Vattene dal tuo paese, dalla tua patria, e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione”. Allora Abramo partì, come gli aveva ordinato il Signore» (Gn 12,1-4).
Così Leone. E noi, raggiunti dalla sua predicazione, siamo innestati nel popolo della benedizione, la Chiesa, che ha ricevuto da messaggeri del Vangelo la raccomandazione dell’affabilità verso tutti, della letizia che proviene dalla confidenza nel Signore, della preghiera di supplica e di ringraziamento, della ricerca di ciò che è vero, nobile, puro, amabile, onorato (cfr. Fil 4,4-9).
Chiediamo a San Leo di ottenerci tanti ministri, annunciatori miti e forti del Vangelo per un nuovo programma di evangelizzazione della nostra terra.
Il Vangelo. Il Vangelo tratteggia la figura del saggio architetto che costruisce la casa sulla roccia. Chi ha scelto questa pagina evangelica e l’ha messa nel Proprio della nostra Diocesi ha pensato certamente all’opera di San Leone che fonda la comunità sulla roccia dell’amore di Dio, oltre che sul roccione del monte Feretro. «Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti, si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia» (Mt 7,25).
Permettete che dica una parola sulla “casa”, la famiglia, che noi sacerdoti abitiamo e vogliamo continuare ad abitare con gioia: il nostro presbiterio. Il Signore, che abbiamo scelto come il tutto della nostra vita, è il fondamento roccioso della nostra casa, ma ci aiuta pure quel sentimento bello e prezioso, conosciuto e coltivato da Gesù, l’amicizia. L’amicizia è una simpatia reciproca, un’intesa profonda tra persone, a volte molto diverse. Non è basata sull’attrazione come è l’amore coniugale. È unione di cuori, di intelligenze, di anime, non di corpi. In questo senso gli antichi dicevano che l’amicizia è un’anima sola che vive in due corpi.
È proprio sull’amicizia, su una speciale coltivazione dell’amicizia presbiterale, che vorrei collocare la realtà del Capitolo della Cattedrale. Di per sé, nel Diritto ecclesiastico, troviamo che il Capitolo della Cattedrale è tra gli organismi di partecipazione alla funzione pastorale del Vescovo. Questi sono gli organismi: sinodo, curia, consigli diocesani, consiglio degli affari economici, capitolo dei canonici. Il Capitolo dei Canonici viene descritto così: «È un collegio di sacerdoti al quale spetta celebrare le funzioni liturgiche più solenni della Chiesa cattedrale; compete, inoltre, al Capitolo adempiere quegli uffici che il Diritto o il Vescovo diocesano gli affidano. I Canonici pregano col Vescovo, pregano per il Vescovo e per tutta la Diocesi. Considerano la Cattedrale come casa loro.
L’amicizia può costituire un vincolo più forte della stessa parentela. È essenziale per l’amicizia che essa sia fondata su una comune ricerca del bene, dell’onesto. L’amicizia è diversa anche dall’amore del prossimo; questo deve abbracciare tutti, anche chi non riama, anche il nemico, mentre l’amicizia esige la reciprocità, la corrispondenza. «Ogni amico dice: “Anch’io ti sono amico”» (Sir 37,1), «conta su di me come su te stesso» (2Cr 18,3); tra amici veri «se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro; guai invece a chi è solo: se cade non ha nessuno che lo rialzi» (Qo 4,10). La Bibbia è piena di elogi dell’amicizia. «Un amico fedele è sostegno potente, chi lo trova, trova un tesoro» (Sir 6,14).
Ma anche la storia della santità cristiana conosce esempi di amicizie esemplari. Certo, con Gesù la realtà dell’amicizia compie un salto di qualità. Gesù ha potuto dire: «Non vi chiamo più servi, ma amici; non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (cfr. Gv 15,13-15). E in altri passi del Vangelo, quando introduce confidenze agli apostoli dice: «A voi miei amici dico…» (Lc 12,4). Allora, fondata su questo, la nostra amicizia è solida e non teme il soffiare dei venti, ossia le inevitabili cadute, il cadere delle piogge che minacciano di sgretolare gli ideali che tutti abbiamo scelto, lo straripare dei fiumi che sono le prove della vita e del ministero. I Canonici, allora, li penso così: amici inseparabili per l’amicizia dell’Amico comune, Gesù. Ecco il vostro primo compito. Fare amicizia, portare amicizia, favorire l’amicizia nel nostro presbiterio; vedere che cosa la può accrescere, infiammare, vedere che cosa la minaccia, la intiepidisce o la spegne.
Tra i Canonici voglio nominare mons. Elio Ciacci, quiescente, che non ha potuto essere presente questa mattina con noi. E vorrei ricordare i Canonici onorari della nostra cattedrale, tra tutti mons. Arcivescovo Adriano Bernardini, qui presente.
Siamo qui per la “casa” del nostro presbiterio, un’unica casa, e siamo qui per la “casa” più grande che è la Chiesa, fatta di pietre vive, basata sulla pietra angolare che è Cristo; la Chiesa che ha per legge la legge della carità, che ha per fine il Regno di Dio. Anche alla Chiesa non saranno e non sono risparmiati soffio di venti, cadere di piogge, esondazione di fiumi, ma sulla Parola di Gesù confidiamo: «le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18), anzi, la Chiesa sarà veduta «scendere dal Cielo, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2). «Non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno il loro splendore» (Ap 21,23-24). Questa è la nostra fede, questa è la nostra speranza, da qui la nostra amicizia. Così sia.