Omelia nella S.Messa di Insediamento degli Ecc.mi Capitani Reggenti

San Marino Città (RSM), Basilica del Santo Marino, 1° aprile 2022
 

Gn 18,22-32
Sal 120 [119]
Lc 6,27-36

«Me infelice: abito straniero in Mosoch, dimoro fra le tende di Cedar!
Troppo io ho dimorato con chi detesta la pace.
Io sono per la pace, ma quando ne parlo essi vogliono la guerra» (Sal 120 [119],5-7).

In questi giorni qualcuno sussurra: non ci resta che pregare! Ma c’è preghiera e preghiera…
Abramo davanti alla città di Sodoma, violenta e corrotta, prega così: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere?». La risposta di Dio: «Se a Sodoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città».
Eccellenze, Signore e Signori, avete inteso come la preghiera di Abramo sia tenace e sommessamente insistente. Persino impertinente. Quasi un braccio di ferro con Dio, un continuo tentativo di innalzare l’asticella della misericordia di Dio. Avrete notato l’avverbio ripetuto sei volte: “forse”. Quel “forse” apre una fessura di speranza sull’enigma del male che insidia la storia umana. La preghiera di Abramo è l’apertura coraggiosa della fede. In quel “forse” c’è tutta la fiducia di Abramo credente e tutta l’audacia di Abramo amico di Dio. In lui la preghiera si è fatta intercessione, un “andare e venire” tra l’umana avventura, caratterizzata dalla libertà, e Dio datore di quella libertà. L’orante è un lottatore: «Spem contra spem» (Rom 4,18).

La preghiera non è evasione dalla realtà, né fuga irresponsabile o ricerca intimistica di un nido rassicurante. La preghiera è saper stare al cuore stesso della disperazione, certi che Dio è presente, coinvolto nel dramma dell’umanità: non salva dal dolore, ma nel dolore!
Papa Francesco ci sta insegnando come la preghiera abbia un posto fondamentale nel cammino verso la fraternità. Con la preghiera si partecipa, ci si immerge fino a sentire proprio il dramma dei fratelli.

In questo passaggio sconvolgente della storia, che fare? Aggiungere odio all’odio? Vendicarsi? Aspettare miracolisticamente che Dio intervenga? C’è un’altra via: la via della responsabilità, altro nome della conversione: ritornare sui propri passi. «Se non vi convertirete – dice Gesù Cristo – perirete tutti allo stesso modo». Traduco con queste parole: «Quando senti una campana suonare a morto non domandarti per chi suona: suona per te!» (H. Hemingway). Quelle di Gesù non sono parole di condanna, ma un accorato appello alla conversione. Nel Vangelo secondo Giovanni Gesù dice: «Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno, lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8,56). È con Gesù Cristo, il “grande Martire”, che l’umanità è salvata dalle sue ingiustizie. Il “forse” di Abramo, reinterpretato alla luce della vicenda di Gesù, diventa “certezza”: egli «ha fatto di due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia» (Ef 2,14). Il perdono annulla il nemico!
La fede cristiana contempla – soprattutto in questi giorni – l’amore del Signore Gesù, spinto sino alla follia che offre la sua vita per la vita del mondo.
È in questo contesto evangelico che dobbiamo interrogarci sulle nostre responsabilità nella ricerca attiva della pace.
Abbiamo provato, insieme allo sconcerto per questa guerra vicina e inattesa, un senso di impotenza. Molti di noi, comuni mortali, si sono chiesti che cosa potessero fare. Informazione, confronto, preghiera, solidarietà…
Abbiamo moltiplicato gesti quotidiani di bontà dentro le normali relazioni: fare la pace a partire dal prossimo più prossimo, essere artigiani della pace all’interno dei nostri ambienti con la cura dei rapporti, essere pace come persone accoglienti e positive. Tutto sommato una prospettiva che resta nel privato o nella cerchia delle proprie relazioni, ma col rammarico di non poter incidere sulle decisioni. Tuttavia, se ognuno facesse la propria parte creeremmo un sociale di pace. Agli occhi dei giovani la grande sconfitta sembra essere la politica. Questo genera sfiducia e chiusura.
Un caro amico ha recentemente pubblicato un volumetto dal titolo provocatorio: «In principio erano fratelli» (Luigi Maria Epicoco). Che ci siano state guerre e conflitti dall’inizio dell’umanità e lungo tutta la storia non smentisce la vocazione universale alla pace. Il dialogo, la cultura, la scienza, l’arte sono grandi risorse insieme alla diplomazia, arte del superare il conflitto. È proprio vero: la guerra ti trova dove sei, dove hai costruito o non hai costruito.
Nel brano evangelico appena proclamato si apre con una raccomandazione vibrante e personale: «A voi che ascoltate io dico…». Seguono otto modulazioni del verbo amare, le prime quattro coniugate con il “voi”: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male; altre quattro sono rivolte col  “tu”, come se Gesù guardasse negli occhi ciascuno di noi: «A chi ti percuote sulla guancia offri anche l’altra, a chi ti strappa il mantello non rifiutare la tunica (cioè dai tutto), dà a chiunque ti chiede e a chi prende le cose tue non chiederle indietro».
Pagina da leggere non in prospettiva moralistica (chi potrebbe metterle in pratica?), ma come “pagina di rivelazione”; sono parole che ci collocano nella logica e nella vita stessa di Gesù: Dio è papà, l’altro è mio fratello!
Preghiamo. La preghiera rafforzi la volontà di pace e ci renda perseveranti in questo cammino di pace.