Omelia nella S.Messa di chiusura della Visita Pastorale nella parrocchia di Domagnano
Sap 6,12-16
Sal 62
1Ts 4,13-18
Mt 25,1-13
(da registrazione)
Dopo aver trascorso una settimana intera con voi, l’immagine che mi raffigura Domagnano è quella dell’alveare. C’è tutto un ronzio laborioso attorno alla parrocchia e alla piazza davanti alla chiesa, dove “si viene e si va”: si va al lavoro, si va alle proprie case e si torna, ci si riunisce per circostanze formative – la formazione mi pare sia molto in evidenza – ci si incontra per momenti di preghiera, non solo per la Messa domenicale. Ho anche avuto la gioia di partecipare a qualche Eucaristia feriale e ho visto persone, ho visto solidarietà per il dolore degli altri quando ricordano uno dei loro cari defunti. Ci sono anche incontri di tipo organizzativo; ad esempio, mentre siamo riuniti attorno all’agape eucaristica c’è chi sta preparando il momento conviviale. Dunque c’è vita; usando le parole di Virgilio quando descrive l’alveare, direi: Fervet opus. Suppongo che venga fatto del buon miele. Se ne accorgono anche i genitori che, nonostante il venir meno delle scorte del credere, mandano i loro bambini al catechismo.
Se stiamo alla liturgia di oggi l’immagine è piuttosto quella dell’olio. Vediamo dieci ragazze nella notte con le lampade accese. È una metafora abbastanza eloquente: quelle ragazze siamo tutti noi, è la comunità. Si trovano nella notte: stiamo attraversando momenti difficili. Lo dico per la nostra appartenenza alla società civile europea, mondiale, ma anche sammarinese. Dieci ragazze nella notte con lampade che minacciano di spegnersi. E sappiamo quanto è importante vederci nella notte, perché non si va da nessuna parte quando è buio totale. Non mancano le luci, ma occorre l’olio per alimentare la fiamma. Se manca l’olio anche la luce si spegne. Allora non si può più andare incontro allo sposo e non si può essere di aiuto a chi cammina insieme con noi. L’idea dell’olio mi proviene anche dai giri fatti insieme a don Marco per la campagna. Abbiamo visto qualcuno che raccoglieva le olive… L’olio è un’immagine che torna tantissime volte nell’Antico Testamento e la incontriamo anche nel Nuovo. Ad esempio, l’olio veniva usato dai patriarchi per ungere le grandi pietre che venivano innalzate per ricordare il luogo dove si era sperimentata una presenza misteriosa di Dio. L’olio era indispensabile per le lampade che ardevano per il culto: fiamma che arde nel luogo dove Jahvè ha posto la sua presenza. L’olio veniva versato sul capo di Aronne, su quello dei sacerdoti; veniva adoperato per ungere gli arredi sacri, l’arca dell’Alleanza, il candelabro, l’offerta e anche i re venivano consacrati con l’olio. Il Salmo 103 dice: «L’olio fa brillare il volto». Anche i vostri volti, siete belle persone, perché l’unzione crismale che avete ricevuta, che vi ha consacrato, che vi ha messo in cuore grandi ideali, rende anche le nostre facce attraenti, spero anche gioiose. Quando usciamo di chiesa dovremmo essere segni di questa gioia, di questo olio che fa brillare il volto. Allo stesso modo, il Salmo 91 afferma: «Tu mi hai dato, o Signore, la forza di un bufalo e mi hai cosparso di olio splendente». Ma l’olio è simbolo anche di qualcosa che si mette insieme a caro prezzo, perché le olive devono passare attraverso il torchio per essere spremute. Di chi parlo in questo momento se non di Gesù? Lo ricordate nel Getsemani? La parola Getsemani significa “orto del frantoio”, perché in quel giardino c’è un grande frantoio, forse condominiale, e proprio lì Gesù, come un’oliva, viene spremuto e anticipa tutta la sua Passione. Dice l’evangelista che sudò sangue (cfr. Lc 22,44), per il dolore intenso che stava patendo. Dunque l’olio, simbolo del culto a Dio, ma simbolo anche di ciò che fa brillare il volto e simbolo della carità, passa attraverso l’azione del frantoio. Mi piace tantissimo una citazione di Sant’Agostino, che dice: «Il prezzo di una partita di frumento? Il tuo denaro. Il prezzo di una proprietà terriera? Il tuo argento. Il prezzo di una gemma preziosa? Il tuo oro. E il prezzo della carità? Te stesso. Ciò che è più prezioso è anche più caro… Cerchi come acquistare un fondo, un gioiello, un giumento? Metti le mani in tasca. Ma se vuoi la carità, cerca te stesso, trova te stesso» (Sermo XXXIV,4.7). Perché è te stesso che devi dare.
Torniamo alle dieci ragazze nella notte. Siamo noi, a volte un po’ stolti e a volte un po’ saggi. Quali sono le nostre lampade? Parto da quello che vedo nella vostra parrocchia. La lampada del Santissimo Sacramento che rimarrà accesa accanto al tabernacolo, anche dopo la Santa Messa, quando spegneremo le luci sull’altare. È l’olio della preghiera. Vi invito a perseverare nella preghiera, ad esempio fermandovi per un attimo di adorazione in chiesa quando passate di qui per andare al bar, o per fare due chiacchiere oppure per accompagnare i bambini… Il Signore è presente tra le nostre case. Abbiamo l’olio della preghiera anche nelle nostre case. Facendo visita agli anziani e agli ammalati, che non riescono a venire in chiesa, mi sono reso conto di quanta preghiera fanno. Noi siamo qui, andiamo a lavorare, abbiamo tanti impegni, loro pregano. Ho chiesto – so che i ministri straordinari della Comunione lo fanno sempre – di invitarli a pregare per tutti, a tenere le mani alzate verso il Signore: l’olio della preghiera. Poi vedo un grande cero che arde davanti a noi di fianco all’Evangeliario, che abbiamo esposto la sera di inizio della visita pastorale. Luce che brilla nella notte è la Bibbia, la Parola di Dio. Se la leggiamo e la viviamo ci trasforma in un altro Gesù e diventa luce per i nostri passi. Nel Concilio Vaticano II abbiamo riscoperto questo modo di dire: la duplice mensa, la mensa della Parola e la mensa dell’Eucaristia (cfr. DV 21). C’è un’altra luce settiforme (sono sette lampade): la lampada della testimonianza, perché noi, come cristiani, abbiamo il dovere di tener viva la luce nella notte, per esempio abbiamo responsabilità sociali, produttive, economiche, educative… Ho incontrato molti bambini nelle scuole e ho potuto apprezzare una grande cura per l’istruzione, soprattutto nelle scuole dell’infanzia. Poi sono stato accompagnato in tantissime attività produttive e devo anche ringraziare il capitano di Castello che mi ha voluto invitare. In confidenza gli ho chiesto che cosa spinge ad offrire la propria disponibilità per un tale servizio. È stato bellissimo sentire con quale coscienza lavorano queste persone, indipendentemente dalle opinioni politiche legittime, nella ricerca del bene comune. Sarebbe più comodo stare alla finestra e criticare. Siamo stati anche ad incontrare i partiti politici che hanno la sede nel vostro territorio. Sono stati incontri chiari: «Dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Ma non deve mancare la testimonianza dei cristiani. Poi la democrazia ha le sue regole. Ad esempio, a livello di nazione, anche se piccola, saremo invitati tra non molto ad esprimere dei pareri su tanti aspetti. Il problema etico principale in questo periodo è quello della salvaguardia della vita dal suo concepimento sino alla fine. Non basta dire «io non farei mai…», dobbiamo dire come pensiamo la società, dobbiamo osare… Poi si cammina insieme agli altri. Le sette lampade sono una sola lampada settiforme, perché l’olio che si metteva nella Menorah veniva alimentato da un’unica coppa. La lampada viene raffigurata a volte anche come rami di ulivo e prende sette forme: i doni dello Spirito Santo.
Concludo facendovi una duplice consegna: continuate ad essere un alveare dove si vive insieme, dove si programma insieme, dove ci si vuole bene; non spegnete le luci, mettete olio: la lampada della Parola, la lampada dell’Eucaristia, la lampada della carità e della testimonianza. Sia lodato Gesù Cristo.