Omelia nella S.Messa di chiusura della Visita Pastorale alla parrocchia di Montegiardino

Montegiardino, 8 dicembre 2017

Solennità dell’Immacolata Concezione

Gen 3,9-15.20
Sal 97
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38

(da registrazione)

1.
Ho vissuto insieme a voi per quasi una settimana: un’esperienza molto bella. Montegiardino. In questo nome è racchiusa la vocazione di una comunità espressa da una metafora: il giardino, che vuol dire colore, profumo, vita.
La natura, il castello, la gente: tutto appare progettato per dire armonia. E questa è una responsabilità che vi riguarda. Vorrei che il nome del vostro paese, della vostra comunità diventi sempre più vero, autentico.
Ho visitato le attività commerciali (ad ognuna ho fatto auguri ed espresso complimenti) e le piccole aziende (ho pregato per il loro sviluppo e per il bene di tutti).
Ho potuto constatare le tante iniziative: ospitalità, sport, folklore, presepio vivente, laboratorio. Sono rimasto sorpreso dalla intraprendenza e dalla creatività. Ho potuto avvicinare le istituzioni: scuole, castello, caserma, parrocchia. Ho colto in tutti la preoccupazione educativa; questo vi nobilita.
Ho incontrato persone: bambini (indimenticabile la mattina di martedì in cui abbiamo preparato l’Alleluia), giovani, genitori, nonni, ammalati, disabili e le associazioni.
Mi sono fermato più volte sulla piazza: luogo significativo per la vita sociale e civile, punto di incontro dei cittadini.
Ho sostato presso il campo santo insieme a don Luis e abbiamo pregato per i vostri cari defunti.
Ho fatto un’ora di silenzio nella vostra chiesa. C’eravamo solo Gesù ed io. Ho avuto anche la fortuna di passare dieci minuti in cantoria, sulla tastiera di uno straordinario organo a canne.
Tante persone, tante strette di mano. E il tentativo di imparare i nomi di ognuno, perché il nome è la forma prima della comunicazione.
Mi sono reso conto anche delle problematiche ecclesiali: l’avvicendarsi troppo frequente dei sacerdoti; il clima generale di secolarizzazione e di abbandono della pratica religiosa; la caratteristica dei piccoli centri: una conoscenza ravvicinata coi vantaggi della solidarietà, ma anche i pericoli del giudizio e delle chiacchiere.
Un’attenzione mi sento di sottolineare: rimanere aperti all’intera Repubblica di San Marino, ma anche all’Italia, aperti a tutte le persone – sono tante – che vengono dall’estero come badanti e sono d’altra confessione religiosa.

2.
Mi è accaduta un’esperienza come quella che ha fatto san Paolo quando si è recato nella città di Atene. Una città illustre per la sua cultura, la sua vivacità, la sua gente. San Paolo prende la parola all’Areopago e inizia complimentandosi anche per la religiosità degli ateniesi. Lungo le strade ha visto i segni del loro rispetto per le cose sante, per i simulacri delle più svariate divinità, segni di una pietà diffusa. C’è persino un capitello dedicato al Dio Ignoto. Paolo loda la sapienza degli ateniesi che praticano i valori più alti della civiltà antica. Ma ad Atene manca l’incontro con la realtà più importante: Gesù! Egli è il Verbo dell’unico Dio fatto uomo, venuto per renderci partecipi della vita stessa di Dio: «Un Dio che si fa uomo perché l’uomo diventi Dio».
Sulla piazza di Montegiardino – vi ringrazio – avete scritto: «Benvenuto vescovo Andrea tra la gente con la gioia del Vangelo». Ebbene il Vangelo è proprio questo: è Gesù! La buona notizia è Gesù, persona viva e, dunque, il Vangelo non è un insieme di valori, una morale, una buona educazione, buoni sentimenti. È la persona di Gesù. Allora vi prego, non fate come gli ateniesi che, dopo aver apprezzato san Paolo per la sua cortesia e apertura alla loro cultura, dissero quando parlava di Gesù: «Su questo ti ascolteremo un’altra volta!» (At 17,32). Invece accogliete Gesù. Questo è il messaggio che vi lascio: fare in modo di incontrare Gesù, la sua persona, perché, con la potenza della sua morte e risurrezione, ci libera dal peccato, dai condizionamenti dell’amor proprio, dalle catene che ci immobilizzano al nostro uomo vecchio (con le sue passioni, i vizi, le inconsistenze, ecc.) e ci apre la via alla risurrezione da oggi e per sempre.

3.
Aggiungo una cosa che prendo pari pari dalla scritta che sta nel cartiglio dell’antico paliotto dell’altar maggiore della chiesa di Montegiardino: «Fasciculus myrrhae dilectus meus mihi». Parole misteriose, che tradotte significano una dichiarazione d’amore. Gesù dall’altare ripete ogni momento queste parole: «Tu sei un mazzolino di mirra, perché tu sei l’amato mio». Una bambina di quinta elementare ha avuto l’ispirazione di fare questa domanda: «Che cos’è la bellezza?». Innanzitutto, la bellezza è misura, proporzione. Non è bello quello che è sproporzionato e bislacco. Ma la bellezza non è solo questo, perché ci sono cose simmetriche, perfette, che non sono ancora belle: sono fredde, marmoree. La bellezza è di più: è armonia, in cui tutte le parti si compongono. La bellezza è ancora di più: è rivestita di amore, suscita emozione, parla. Perfezione, armonia e infinitamente di più: amore! Perché viene “da dentro”.
Dobbiamo ammettere che l’anima spesso “resta indietro” in tante azioni, rapporti e iniziative e allora non c’è bellezza, perché la bellezza viene dal cuore. Bisognerebbe che l’anima si mettesse a rincorrere il nostro corpo, le nostre relazioni, le nostre iniziative. Ecco che cosa ci porta Gesù. La sua morte e risurrezione ci restituisce una capacità più grande di amare. Sia lodato Gesù Cristo.