Omelia nella S.Messa di apertura della Visita Pastorale nella parrocchia di Sant’Agata Feltria

Sant’Agata Feltria, 27 maggio 2018

S. Cresime

Dt 4,32-34.39-40
Sal 32
Rm 8,14-17
Mt 28,16-20

(da registrazione)

Anzitutto vi ringrazio per il saluto che mi avete rivolto attraverso le parole del vostro parroco. Sì, sarò insieme con voi una settimana intera; avrò la possibilità di incontrare tanti di voi… Sarebbe bello incontrare tutti, ma non credo sarà possibile in una settimana. Però il mio cuore è sicuramente disponibile ad allargarsi e spero di trovare un piccolo posto anche nel vostro. Poi saluto i familiari dei ragazzi che riceveranno la Cresima e gli ospiti, le persone che sono venute per partecipare alla festa.
In questo momento ho in mente di comunicare tre pensieri. Primo pensiero. Oggi è solennità, grande festa, della Trinità, di Dio Trinità di persone. Oggi festeggiamo in un unico abbraccio d’amore e di lode la Santa Trinità. È come se la liturgia della Chiesa ci accompagnasse in cima ad un’altissima montagna da cui possiamo vedere il panorama attorno. Questa domenica siamo sul cucuzzolo dell’anno liturgico e possiamo spaziare col nostro sguardo su tutti i grandi misteri della nostra fede, che siamo andati celebrando via via nel percorso dell’anno liturgico. Anzitutto, il mistero di Dio invisibile. Quanti lo cercano! Ieri, parlando alle monache agostiniane di Pennabilli, avevo messo a tema il cercare il volto di Dio, perché neanche loro, che pregano tanto, hanno davanti a loro il volto di Dio. Il volto di Dio è misterioso. Chi ha studiato teologia ha solo qualche millimetro di vantaggio, ma Dio rimane inaccessibile, trascendente. Eppure, nel cuore degli esseri umani c’è una nostalgia di lui, una nostalgia di infinito, c’è il desiderio. Noi colmiamo tanti desideri che abbiamo: il desiderio di andare a casa, il desiderio di fare il pranzo, il desiderio di vedere un film, il desiderio di una passeggiata, il desiderio di una persona. Però questi desideri sono tutte allusioni ad un grande desiderio che soltanto qualcosa di infinito può colmare. Bellissimo quello che disse Benedetto XVI ai nostri giovani riuniti in piazza a Pennabilli nella sua visita di alcuni anni fa, quando disse che il cuore è come una finestra da tenere spalancata sull’infinito. In quell’occasione chiese ai giovani di non smarrirsi nelle cose immediate, ma di restare aperti.
Nel primo tempo dell’anno liturgico siamo stati messi di fronte al nostro desiderio di infinito e abbiamo sentito l’annuncio che Dio ci è venuto incontro. Ecco il mistero dell’Avvento e del Natale. Poi, viene sulla terra la Seconda Divina Persona, il Figlio, quello che noi chiamiamo Gesù, detto il Cristo, cioè l’unto. Gesù dona la sua vita, vive quello che noi chiamiamo “Pasqua di morte e risurrezione”. Dal cucuzzolo di questa domenica possiamo guardare tutto il tempo della Quaresima e della Pasqua fino alla Pentecoste, quando Gesù ci rivela Dio amore ed effonde il suo respiro, il suo amore, lo Spirito Santo. Ecco, in un colpo d’occhio unico, in un unico abbraccio, racchiudiamo oggi il mistero di Dio. Potremmo fare della speculazione sul perché Dio è uno e trino, ma la Chiesa ci invita a non perder tempo, perché siamo di fronte ad un grande mistero. Proviamo a guardare che cosa fa il Padre, che cosa fa il Figlio, che cosa fa lo Spirito Santo. Non abbiate timore di avere un rapporto differenziato con le tre Divine Persone. Possiamo relazionarci col Padre; il Figlio non ha gelosie; lo Spirito Santo non ha invidie. Per sapere com’è il Padre basta sfogliare il Vangelo e osservare come l’ha raccontato Gesù; prendiamo, per esempio, la parabola del figliuol prodigo, che si dovrebbe dire parabola del Padre misericordioso. Poi, possiamo relazionarci con il Figlio, Gesù. Forse è più facile, perché Gesù è stato uomo come noi. Gesù si dona nella frazione del pane: «Prendimi… Mangiami». Molti di noi, tra poco, lo riceveranno, potranno parlare con lui, potranno anche tentare di ricostruire il suo volto. E, infine, possiamo metterci in rapporto con la terza Divina Persona.
Qui dico una parola specifica per i ragazzi della Cresima. Tra poco, cari ragazzi, davanti a tutti, solo voi direte le risposte alle domande che porrò: «Credete a Dio Padre onnipotente?». E voi risponderete, chiaro e forte: «Credo!». Nella Cresima si fa la professione di fede consapevole. Poi avete tutta la vita per scoprire quello che pronunciate in quella parola di cinque lettere, «credo!». C’è tutta la vita davanti per sviscerare, cavar fuori tutto quello che è implicato in quella parola. Io, insieme ai vostri parroci, stenderò le mani. È un gesto antico, che facevano gli apostoli per chiedere allo Spirito di Dio di scendere e la chiesa di Sant’Agata diventerà un cenacolo: lo Spirito del Signore scenderà su di voi. Il vostro padrino o la vostra madrina vi accompagneranno all’altare, diranno il vostro nome. La Cresima non è una benedizione, voi state per ricevere un sacramento, un’azione che compie il Signore su di voi, imprimendovi il suo bacio. Ecco il senso di quell’unzione con l’olio profumato (si chiama crisma) sulla vostra fronte. Quel profumo svapora; forse, alla fine della Messa, toccandovi la fronte non lo sentirete neanche più, ma il bacio rimane per sempre. Anzi, noi adulti siamo contenti adesso di ripensare alla nostra Cresima. Può darsi che usciamo di chiesa di buon umore, pensando allo Spirito che abbiamo ricevuto. Dopo l’unzione vi darò un piccolo schiaffo, che è una carezza, per dire «la pace sia con te… vai!». Alle Cresime ricordo sempre l’episodio di Sansone che, per mettere in crisi i Filistei, siccome non aveva un grande esercito, aveva catturato delle volpi, aveva legato alle loro code delle torce e le aveva incediate prima di lasciarle andare via. Le volpi incendiarono i campi di grano dei Filistei che dovettero cedere (cfr. Gdc 15,4-5). Quel piccolo schiaffo che vi darò sta ad indicare che voi siete “le volpi di Gesù” e a voi dico: «Andate… ad incendiare d’amore il mondo». Prendete coscienza che siete quelli che devono evangelizzare il mondo dei ragazzi.
Terzo pensiero. Che cosa viene a fare il vescovo con la visita pastorale?
Mi presento. Mi chiamo Andrea. Sono qui da quattro anni. Tre giorni fa ho salutato il Santo Padre, ho avuto il privilegio di poterlo incontrare. Gli ho detto che portavo i saluti di tutti e lui si è raccomandato che portassi la sua benedizione a tutti quelli della Diocesi di San Marino-Montefeltro. Attenzione, un’unica Diocesi. A San Marino ho trovato qualcuno che pensa che la Diocesi era solo di San Marino; ma ho trovato anche nel Montefeltro qualcuno che pensa che la Diocesi coincide con la Val Marecchia.
Il vescovo viene a dire che siamo uniti, formiamo la Chiesa. Per Chiesa spesso si pensano i sacerdoti, i vescovi, le monache. No, la Chiesa è ogni battezzato. Siamo tutti la Chiesa. Mi dispiace quando si parla della Chiesa in terza persona: «La Chiesa dovrebbe… ». Ciascuno di noi è la Chiesa. La Chiesa appoggia su Gesù. Noi sacerdoti siamo a vostro servizio. Una volta, nel presentarmi, mi è scappata una parola orribile. Dovevo spiegare ai bambini della scuola d’infanzia chi è il vescovo. Ho iniziato dicendo che è il successore degli apostoli, che è quello che va nelle parrocchie a parlare… Alla fine mi sono arreso e ho usato una parola non evangelica; gli ho detto che il vescovo è il capo della Chiesa. Allora i bambini hanno capito, ma ho sbagliato. Il vescovo non è il capo, il capo è Gesù. Noi sacerdoti siamo a servizio della comunità. Dobbiamo vegliare sulla integrità della fede ed eventualmente correggere le persone che non hanno chiaro il quadro della fede.
Un altro compito del vescovo è quello della mediazione. Il vescovo deve far in modo che ci sia l’unità. I nostri caratteri sono diversi, le culture diversissime, le sensibilità politiche lecitamente differenti, ma bisogna volersi bene (addirittura amare il partito dell’altro come il proprio). Il vescovo deve ricordare che, come ci sono le armonie delle voci che cantano, ci dev’essere l’armonia della carità. Il Signore ci vuole vestiti di carità.
Il vescovo ha anche il compito di far sì che la devozione sia fervorosa, ma corretta, senza esagerazioni. Bisogna imparare a gestire bene i doni di Dio.
Un altro compito del vescovo – questo è sublime – è prendere per mano la sua Chiesa come fa il babbo con la sposa quando la porta all’altare. Cosa vuol dire in pratica? Che il vescovo deve preoccuparsi della santità del suo popolo. Com’è felice il vescovo quando, leggendo i libri di storia del Montefeltro, impara a conoscere i santi della nostra terra. Abbiamo molti santi nel Montefeltro… ma dobbiamo diventare santi noi. Il vescovo dovrebbe raccontare di Gesù, infervorare, dire che è bello essere discepoli di Gesù. Poi, tra molti anni, vorrei potervi presentare in Cielo, tenendovi tutti per mano: «Ecco, Signore, la Diocesi di San Marino-Montefeltro, la tua sposa». Questa è la sostanza della preghiera quotidiana del vescovo. Alla recente assemblea generale dei vescovi italiani il Papa ci ha chiesto se preghiamo e ha detto che dobbiamo pregare di più, anche se abbiamo tanto da fare. «La cosa più importante “da fare” – ha detto il Papa – è la preghiera per il vostro popolo». Lo voglio fare! Così sia.