Omelia nella S.Messa ad un anno dall’inizio della pandemia per le vittime del Covid-19 e le loro famiglie (Italia)

Pennabilli (RN), Cattedrale, 4 marzo 2021

Ger 17,5-10
Sal 1
Lc 16,19-31

«Niente è più infido del cuore, difficilmente guarisce. Chi lo può conoscere, il cuore?». Di fronte all’attuale pandemia, che tutti condividiamo, il cuore deve fare una scelta. La Prima Lettura mette a confronto due tipologie di scelte e le raffigura con due alberi. L’albero del tamerisco, l’albero delle steppe, che vive in luoghi aridi, nel deserto, infruttuoso, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere (cfr. Virgilio, Bucoliche, «non omnes arbusta iuvant humilisque myricae, non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici»; cfr. Gabriele D’Annunzio, La pioggia nel pineto: «piove sulle tamerici/salmastre ed arse»). Questo albero rappresenta «l’uomo che confida nell’uomo», nelle sue forze e nelle apparenze.
Il cuore può scegliere un’altra opzione raffigurata da un altro albero: è l’albero che nasce e cresce lungo i corsi d’acqua, che stende le sue radici verso il torrente, le cui foglie rimangono sempre verdi e, nell’anno della siccità, non si dà pena e non smette di produrre frutti. Non sono due categorie di persone, sono due possibilità dentro al nostro cuore.
Come voglio vivere questo momento? Voglio confidare nel Signore, appoggiarmi su di lui o voglio appoggiarmi su me stesso, sulle mie risorse? L’immagine dell’albero piantato lungo il fiume è anche la figura che domina il salmo che abbiamo cantato: «Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, la sua legge medita giorno e notte; è come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo». Gesù adopera ben 8 volte questa esclamazione: «Beati… beati… beati…» nel discorso della montagna. Tutti desideriamo la felicità. Qual è la sorgente della felicità? Dove dobbiamo mettere il cuore? Nella legge del Signore, cioè nella sua Parola, in Lui. Il nostro cuore, allora, non teme se è fortemente saldo nel Signore. Ma ci pare di aver bisogno anche di tante altre cose… È vero. Ma se noi facciamo la scelta di Dio Amore, e crediamo che Dio è amore, che tutto quello che accade è uno stimolo per amare di più, allora sapremo affrontare anche le cose più difficili, anche se tutto attorno, come sta accadendo, viene meno, con le sue sicurezze. Nel Salmo 1, che costituisce il portale d’ingresso dello straordinario libro dei Salmi (il Salterio: raccolta di 150 Salmi), le due tipologie vengono raffigurate anche con la metafora della strada. C’è la strada dei giusti, che ha una meta, e c’è il vagabondaggio degli empi. La via dei giusti, cioè di coloro che confidano nel Signore, è una strada che ha un traguardo: sapere che si ha una meta aiuta molto il cuore; invece, il vagare degli empi è una strada che non porta da nessuna parte. Dice il Salmo: «È come seguire il percorso della duna dispersa nel vento».
Noi crediamo che il Signore ci è vicino. Siamo sicuri che stende la sua misericordia su tutte le vittime di questa pandemia, che aiuta le famiglie. Crediamo che il Signore dà forza a chi si occupa degli ammalati. Questa grande prova è un’occasione per crescere tutti nella fede, nella speranza e nella carità.
Nel Vangelo, di nuovo, tornano le due tipologie. Da una parte c’è un ricco che non manca di nulla, dall’altra un povero, Lazzaro, che raccoglie le briciole che cadono dalla tavola del ricco. Le sue condizioni sono di estrema miseria. Il contrasto fra la vicinanza fisica dei due e l’abisso che li separa per la loro situazione di vita è molto forte. L’abisso è profondo: il riccone lassù che banchetta e se la spassa con i suoi amici e il povero che non ha nulla da mangiare. È proprio questa sperequazione che Gesù condanna.
Nel secondo quadro della parabola, si vede che nell’altra vita la situazione si capovolge: Lazzaro vive gioiosamente in cielo, mentre il ricco soffre all’inferno. Il ricco non viene punito perché ha avuto molti beni, magari se li è anche guadagnati lecitamente, perché è un uomo intraprendente. Quello che Gesù condanna è che ha ignorato la presenza del povero alla sua porta. Ci sentiamo tutti in imbarazzo: questa osservazione riguarda ciascuno di noi, ma vale anche a livello mondiale. Ci sono popoli interi che vivono nella povertà assoluta. Il nostro Ufficio missionario ha lanciato una campagna per la Quaresima: dare almeno un kg di riso (costa un euro) al centro nutrizionale di padre Corrado Masini, missionario partito dalla nostra Diocesi. Ci viene chiesto di avere un cuore grande, secondo le nostre possibilità, non dimenticando i problemi degli altri. Con questa parabola, Gesù ci invita a rivolgerci al povero che ci è accanto. In questa epidemia capiamo sempre di più come siamo interconnessi. Perfino il distanziamento che dobbiamo tenere sta a dirci la consistenza del legame che ci unisce: “Fratelli tutti”! Così vanno intese le norme che ci vengono date. Per noi cristiani hanno un valore aggiunto, perché dobbiamo vedervi la pratica della carità: le seguiamo non solo perché ce lo dicono i DPCM governativi o perché abbiamo paura. Possiamo mettere la carità nel portare la mascherina, nel mantenere le distanze, ecc. Siamo davvero un’unica famiglia. Impariamo in questo tempo a crescere nella fede. Se avete momenti di oscurità, di buio, confidatevi con qualcuno, stringete la corona del Rosario. Preghiamo insieme! Quest’anno il Santo Padre ha messo in evidenza la figura di san Giuseppe. A volte capita di dimenticarlo. Giuseppe era innamorato: ha accettato per amore la sua sposa anche se ha un figlio che non è suo… Esercitiamo, allora, la fede nella preghiera. Se dobbiamo attraversare una valle oscura diciamo: «Tu sei con me». Poi viviamo la speranza e la carità. Anche se non possiamo incontrarci, abbracciarci… La carità allarga il nostro cuore!