Omelia nella IV domenica di Pasqua
San Marino Città (RSM), chiesa di San Francesco, 3 maggio 2020
At 2,14.36-41
Sal 22
1Pt 2,20-25
Gv 10,1-10
«Eravate erranti come pecore – dice l’apostolo Pietro nella sua Prima Lettera –, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime» (1Pt 2,25). Sono parole dolcissime, parole di serenità, pace, tenerezza.
«Eravate erranti come pecore», adesso siete stati ricondotti al pastore, siete tutti sulle sue spalle: tutti siete chiamati dal pastore. Anche nell’omelia della Pentecoste, Pietro dirà: «Per voi, infatti, è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore nostro Dio».
Oggi il tema e l’esperienza dell’essere chiamati è centrale.
Abbiamo letto la bellissima pagina dal capitolo 10 di san Giovanni con l’allegoria del pastore. Non possiamo ignorare il contesto un po’ polemico. Questo scritto è come una bellissima rosa, ma ha le sue “spine”, perché l’allegoria che Gesù adopera è indirizzata ai pastori d’Israele che non compiono la loro missione. Gesù ha in mente il capitolo 34 del profeta Ezechiele, che veniva letto proprio in quel giorno – era la festa della Dedicazione – nella sinagoga e al tempio. Gesù, di fronte ai farisei che non accolgono e non si piegano neppure davanti al prodigio della guarigione del cieco nato, dice: «Siete ciechi. Siete briganti e ladri». La connotazione polemica viene subito temperata da immagini di grande tenerezza, che raccontano la qualità del rapporto che il pastore buono (o bello, come si potrebbe tradurre dal greco) ha con le sue pecorelle, con il suo gregge. La prima immagine che vorrei sottolineare è la voce. Le pecore si sentono chiamare per nome con quella voce riconoscibile fra mille e mille. Torna alla mente quella prima voce, che fu grido, all’inizio della creazione, quando Dio creò l’uomo: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gen 1,26). Soltanto che entriamo nel silenzio della nostra unicità, sentiremo l’eco di quella voce.
Ecco, il pastore chiama le sue pecore per nome. Così l’oracolo del profeta Isaia: «Il Signore dice: ti ho chiamato per nome, tu sei prezioso ai miei occhi» cfr. Is 43,4). Il Salmo 22 che abbiamo sentito cantare poco fa è tutto un inno alla premura che il pastore ha per la sua pecorella: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla». Il Signore conosce ciascuna delle sue pecore, se ne prende cura. La vita cristiana si radica nella consapevolezza di essere amati, conosciuti, pensati, voluti dal Signore. Questa mattina il Santo Padre ha esordito dicendo: «Questa è una domenica di serenità, di tenerezza, di pace, proprio nel bel mezzo delle sofferenze che stiamo vivendo». Accanto alla voce del pastore si alzano altre voci che ingannano e seducono. Ulisse si fa legare al palo dei suoi desideri, perché vuol sentire quelle voci.
Il Signore, facendo sentire la sua voce, ci invita a seguirlo. Non posso non ricordare pecore e pastori che venivano, in alcune stagioni, nel mio piccolo paese di campagna. Quando scendevano le greggi c’era tanta festa: era una novità per la cronaca paesana. Noi bambini rimanevamo incantati davanti a questa pacifica invasione. Per gli adulti era anche una benedizione, per il concime che le pecore lasciavano nei campi. Le groppe lanute delle pecore assomigliavano tanto alle onde del Po. Il pastore era inseparabile dalle sue pecore, sempre in piedi, un po’ selvatico, inimitabile nei suoi fischi (che noi tentavamo di imparare). Rovistando tra questi ricordi, mi verrebbe da qualificare l’atteggiamento del pastore con un sentimento che può essere visto negativamente, ma anche positivamente: la gelosia. Il pastore ci appariva così, sempre attento alle sue pecore, sempre all’erta. Anche il buon Pastore ha questo atteggiamento: sa cosa c’è nel nostro cuore e ci sta sempre appresso. Ci conosce, sa il nome di ciascuno di noi, ci tiene uniti. Non c’è sapone che può togliergli di dosso il nostro odore. Non sopporta indiscreti visitatori. Addirittura, finisce per identificarsi con la porta dell’ovile, anzi è l’ovile stesso, nel quale le pecore possono trovare riposo. Le chiama per nome una ad una e «la sua bontà le fa crescere» (Sal 18,36).