Omelia nella III domenica di Quaresima
Schigno (RN), 7 marzo 2021
Es 20,1-17
Sal 18
1Cor 1,22-25
Gv 2,13-25
Secondo le usanze religiose della sua gente, Gesù lascia Cafarnao per andare in pellegrinaggio a Gerusalemme per la Pasqua. In occasione di quella solennità Gesù compie uno dei gesti più significativi riguardanti la sua autorivelazione: il segno del tempio.
Al tempio confluivano folle enormi di pellegrini per la Pasqua, ed era necessario aprire negli atri un mercato di buoi, pecore, colombe per le offerte sacrificali. Dal momento che non potevano portarseli dai luoghi di provenienza, li acquistavano sul posto. Inoltre, i fedeli venivano dalle parti più lontane ed erano perciò necessari i cambiavalute.
Gesù appare come un torrente impetuoso, ma tutto ciò che rovescia è solo un segno del capovolgimento che sta per portare: un capovolgimento totale.
Gesù compie un’azione simbolica e profetica: prende funicelle – che servivano per condurre gli animali – e violentemente rovescia le bancarelle, le ceste e i soldi… e sbatte fuori tutti. Ad un’azione di questo tipo alludeva il profeta Zaccaria (Zac 14,21), ma la motivazione era diversa. Gesù non se la prende con i venditori o con i loro proventi o con gli eventuali affari illeciti, non vuole riformare il culto dando decoro al tempio e far sì che sia un luogo dove si possa pregare dignitosamente. Non si tratta di purificazione, come invece lasciano intendere i sinottici. Gesù aggredisce direttamente l’istituzione del tempio come tale ed il culto in esso celebrato. Il tempio ha finito il suo compito. Ciò è perfettamente in linea con quanto dirà alla samaritana: «Viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre… i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4,21-24). Nella nuova comunità di Gesù non c’è più il tempio perché lui è il suo tempio (cfr. Ap 21,22). Quello compiuto da Gesù è dunque un gesto messianico, decisivo, non un semplice richiamo liturgico-morale. I versetti che seguono non fanno che esplicitare ulteriormente il senso del gesto di Gesù. L’attacco al tempio – istituzione cardine di Israele – porterà Gesù alla morte. I discepoli applicheranno in tal senso il salmo: «Mi divora lo zelo per la tua casa» (Sal 69,10).
Probabilmente, già un’ora dopo, i mercanti avranno rioccupato i loro posti, il denaro avrà continuato ad essere scambiato con intatta precisione e scorrerà di nuovo il sangue dei sacrifici… Eppure, il gesto di Gesù non è rimasto senza effetto. Ancora ripetiamo: non farai mercato della fede, non farai valere la legge dello scambio, dove dai qualcosa a Dio perché lui in cambio dia molto di più a te.
Siamo abituati ad una immagine di Gesù molto edulcorata e trovarlo al tempio che butta all’aria tutto ci fa specie. Tuttavia, mi sembra di vedere Gesù a disagio mentre compie gesti di forza. Non è per questo che è venuto. I gesti di imposizione, perfino i suoi, non conquistano i cuori. Infatti, appena i giudei chiedono di giustificare quel gesto Gesù li porta su un altro piano. Essi chiedono un segno portentoso che legittimi quanto Gesù ha compiuto. La sua risposta suona come un sarcastico rifiuto: sebbene lui sia disponibile a ricostruire il tempio in tre giorni, loro non lo sono altrettanto a distruggerlo. La provocazione si spegne qui, ma Giovanni, con fine ironia, gioca sul doppio senso: «Egli, infatti, parlava del tempio del suo corpo».
Nel Verbo incarnato noi vediamo nuovamente la gloria di Dio che ha preso forma (cfr. Gv 1,14) e nella morte-risurrezione la suprema manifestazione del suo amore per gli uomini. È solo in Gesù che l’uomo incontra Dio, perché Gesù è quel tempio da cui scaturisce l’acqua viva che risana ciò che è morto (cfr. Gv 7,38; 19,34). Gesù è la vera “casa di Dio”: solo in profonda unione a Cristo i credenti rendono il vero culto a Dio.
Perché questo brano evangelico nel tempo della Quaresima, itinerario verso la Pasqua? Per cogliere la centralità di Gesù e del suo essere “sacramento dell’incontro con Dio”. Dirà un giorno: «Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9). Ma questo Vangelo, come abbiamo visto, ci offre l’opportunità di guarire la concezione del tempio, ossia la nostra relazione con Dio. Talvolta, egli diventa oggetto di compravendita. I furbi lo usano per guadagnarci, i devoti per guadagnarselo. Dare e avere, vendere e comprare, sono modi che offendono l’amore. L’amore non si compra, non si impone. È fuori da questa logica dare qualcosa a Dio perché lui dia qualcosa a me. Facciamo esperienza della totale gratuità dell’amore.