Omelia nella III domenica di Quaresima
Savignano Monte Tassi, 24 marzo 2019
Visita Pastorale nella parrocchia di Savignano Monte Tassi
Es 3,1-8.13-15
Sal 102
1Cor 10,1-6.10-12
Lc 13,1-9
Siamo stati messi di fronte a tre intense pagine delle Sacre Scritture. Per la meditazione scelgo una frase da ognuna delle tre.
La prima che mi ha colpito, può sembrare a prima vista secondaria. Il Signore parla a Mosè dal roveto ardente: «Andate verso una terra dove scorrono latte e miele» (Es 3,8). Proviamo a metterci nei panni dei beduini del deserto che sono appena riusciti a spezzare le catene della prigionia egiziana e sono incamminati verso una terra che non conoscono. Erano passati quattrocentocinquant’anni di esilio e veniva promessa loro «una terra dove scorrono latte e miele». Si trovavano in mezzo al deserto con serpenti e scorpioni, assetati e con il vento che sollevando la sabbia sferza il volto. Mosè ripete ancora una volta: «Il Signore ha detto che vi porterà in una terra in cui scorrono latte e miele». Questa parola viene da un roveto ardente, che brucia senza consumarsi. La Bibbia ci lascia intendere che si tratta di un fatto straordinario. Mosè si avvicina al roveto ardente, sente una voce: «Togliti i sandali, sei su una terra santa!» (Es 3,5).
Che cos’è il roveto ardente per noi oggi? E che cos’è «la terra dove scorrono latte e miele»?
Il roveto ardente che brucia senza consumarsi è l’altare della vostra parrocchia, dove ogni domenica si celebra la divina Eucaristia. Nell’Eucaristia è racchiusa la dichiarazione d’amore che non dovrebbe mai diventare abitudine per noi cristiani.
Papa Francesco ha riassunto al n.164 dell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium il succo di quello che viene detto attraverso questo segno, quello che noi chiamiamo – e nella nostra Diocesi di San Marino-Montefeltro è una parola che è tornata quest’anno in tutte le assemblee – il kerygma. Non è una sigla, è una parola greca che sintetizza l’essenziale del cristianesimo. Papa Francesco, nel documento Evangelii gaudium l’ha tradotta con un linguaggio attuale in questo modo: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno per illuminarti, per rafforzarti, per liberararti». Questo è il kerygma, l’annuncio. I primi cristiani, quando arrivava un apostolo (ad esempio Sant’Andrea quando andava in Grecia o San Bartolomeo nelle Indie o San Pietro a Roma), chiedevano di raccontare di Gesù. I primi discepoli chiedevano: «Che cosa dobbiamo fare per diventare di Gesù?». A tutti veniva detto: «Credi all’amore di Gesù, ricevi il Santo Battesimo, perché nel Battesimo ti unisci a Gesù che muore e risorge». Una dinamica di morte e risurrezione che deve continuare. L’apostolo Giovanni ci ha lasciato una frase fulminante che è la risposta al kerygma: «Anche noi passiamo dalla morte alla vita, anche noi facciamo un esodo come il popolo nel deserto, dalla condizione di schiavitù a quella di libertà verso la terra dove scorrono latte e miele, perché amiamo i fratelli» (cfr. 1Gv 3,14). Ecco l’esodo. Tutto scaturisce da qui, da questa dichiarazione d’amore che, come ogni dichiarazione d’amore, è qualcosa di straordinario.
C’è un’urgenza: quella della nostra conversione. Il Vangelo racconta che sono andati da Gesù a dirgli: «Signore, hai saputo la disgrazia?». Era crollata una torre e diciotto persone erano morte sotto le macerie. Poi, in Galilea, al Nord, ci fu una rivolta. Pilato aveva mandato le truppe a sedarla, ma ci furono morti. In mezzo ai facinorosi morirono anche altre persone che non c’entravano. Ecco la domanda a Gesù: «Erano grandi peccatori quelli che sono caduti sotto la torre?» (cfr. Lc 13,2). Gesù spiega che Dio non manda le disgrazie, non si devono collegare in questo modo peccato e castigo: «Vi state sbagliando. Parlate di quei diciotto, ma quello che è avvenuto riguarda voi». Intendeva dire che bisogna vivere quello che succede come un appello a noi stessi, un appello alla conversione. Se suona una campana a morto non chiederti per chi suona, suona per te (H. Hemingway). I suoi rintocchi sono altrettanti inviti alla conversione. Primo messaggio: urgenza della conversione. Accogliamo l’invito non come una minaccia, ma come un’opportunità: secondo messaggio. Il Signore ci dà tutto il tempo perché possiamo convertirci, come nella mini-parabola del fico che non dà frutti. Il padrone del fico vorrebbe tagliarlo, ma il suo collaboratore lo invita ad aspettare. «Tornerò a zappare la terra d’intorno, a mettere il concime e a aspettiamo un altro anno… ». Così fa il Signore con noi. Ecco la Quaresima. Iniziamo a preparare la Confessione di Pasqua, per sentire e gustare il perdono del Signore. Mettiamoci davanti ai nostri doveri verso Dio, verso il prossimo e verso noi stessi. Che sia davvero una Pasqua di risurrezione. Così sia!