Omelia nella III domenica di Avvento
Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 11 dicembre 2022
Is 35,1-6.8.10
Sal 145
Gc 5,7-10
Mt 11,2-11
Giovanni Battista, la voce che grida: «Il Signore è alle porte, cambiate vita!», adesso si trova in carcere. Ha osato contestare Erode ed è finito dietro le sbarre. Giovanni Battista non è semplicemente prigioniero di Erode, ma è prigioniero della Parola di Dio di cui è il messaggero. San Paolo, nelle sue Lettere, ripeterà tante volte: «Io, Paolo, il prigioniero del Signore» (cfr. Ef 3,1; 4,1; Fm 1.9). Paolo – ne è consapevole anche Giovanni Battista – sa che la Parola di Dio non è incatenata (cfr. 2Tm 2,9), non è rinchiudibile al di là dalle sbarre: la Parola di Dio corre. Ma Giovanni Battista è anche prigioniero del dubbio, delle sue perplessità riguardo al Messia, di cui ha intravisto le opere. Ha potuto riconoscere il carattere messianico di Gesù, tuttavia pone questa domanda: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Come a dire: «Che cosa aspetti Gesù a manifestarti veramente per quello che sei? Mi aspetto che tu, con un colpo di spugna, annulli tutto il peccato, il male, l’ingiustizia che c’è nel mondo e invece vedo che vai a tavola con i peccatori, che ti circondi di piccoli e di poveri, che sei troppo umile, dimesso… sei tu veramente il Messia o dobbiamo aspettare un altro?». Questo, per Giovanni Battista, è un grande dubbio. Ma il dubbio, in fondo, non guasta. La fede si pone domande.
A volte, davanti a Gesù e alle sue esigenze, capita anche a noi di non capire, di non essere in sintonia. A volte siamo provati dalle esigenze del Vangelo.
Da notare che Gesù non perde la stima per Giovanni. Sul finale della pagina di Vangelo che stiamo meditando lo elogia grandemente.
La location del carcere rappresenta bene tutta la storia di Israele. Giovanni è l’ultima voce che sale dall’Antico Testamento e poi si blocca: con Gesù c’è qualcosa di veramente nuovo, di imprevisto. Le sbarre esprimono l’impossibilità di andare oltre. C’è bisogno di una rivelazione ulteriore.
Sarebbe importante, a questo punto, approfondire il rapporto fra i primi cristiani e la tradizione del Battista. Dopo la morte di Giovanni, il suo gruppo ha continuato ad essere attivo. Pertanto, fu necessario quasi un negoziato fra la scuola di Giovanni Battista e i cristiani, per superare tensioni e difficoltà. Questo brano sembra alludere a questa esigenza: da una parte c’è l’elogio di Gesù verso Giovanni, dall’altra Giovanni manda messaggeri: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Cosa risponde Gesù alla domanda di Giovanni Battista? Gesù non dice né sì né no; sfodera la sua pedagogia: invita a guardare, ad ascoltare e a fare attenzione. Dio, in Gesù, parte dagli ultimi, dai poveri, dai ciechi, dai sordi, dai malati, dai lebbrosi. Questo dovrebbe bastare ai messaggeri di Giovanni: Dio, in Gesù, parte dagli ultimi, dai poveri, dai piccoli. Questa, in fondo, non è altro che la via dell’Incarnazione.
C’è una parola piena di gioia nel messaggio di Gesù: il mondo è salvabile! Sì, il peccato è entrato nel mondo, ha guastato tutto, ci lascia nell’indolenza, nell’ingiustizia, nella pigrizia… Invece Gesù dice: «Guardate, i ciechi vedono, i sordi odono, i lebbrosi sono mondati e ai poveri è annunciata la parola del Vangelo». Queste opere sono un segno della presenza del Regno di Dio che salva e fa nuove tutte le cose. Giovanni deve comprendere il modo di fare di Dio e la pazienza con cui fa crescere piano piano la novità.
Ci si potrebbe chiedere: Gesù, in fondo, ha risanato poche persone… e tutte le altre che invocano salvezza? Gesù raduna attorno a sé un popolo che compie le sue opere; arriverà a dire: «Voi farete cose più grandi di me» (cfr. Gv 14,12).
L’elenco di persone con tante menomazioni – ciechi, zoppi, muti, sordi… – fino alla menomazione totale che è la morte sembra come una serie di specchi nei quali sono riflesse le nostre persone: «Io sono cieco, io sono zoppo, io sono lebbroso, io sono sordo alla Parola di Dio. Sono io che ho bisogno di essere salvato».
Gesù, a proposito del Battista, domanda: «Chi siete andati a vedere nel deserto?». Per ben tre volte Gesù si impone con degli interrogativi. Sembra dire: «Siete andati a vedere un abatino che sta in sagrestia? Avete incontrato una banderuola volubile?». E aggiunge un’affermazione che sorprende: «No, vi dico, tra i nati di donna non c’è nessuno pari a Giovanni Battista». E poi conclude: «Ma il più piccolo tra i miei discepoli è più grande di lui». È evidente che non è un confronto fra persone. Sono a confronto due epoche, due metodi. Il più piccolo dei discepoli del Signore, quando è consapevole di ciò che è, ed è ciò di cui è consapevole, compie le opere del Messia.
È pertinente ricordare a questo punto le beatitudini: «Beati i poveri… gli afflitti… i miti…» (cfr. Mt 5,1-12). La motivazione delle felicitazioni di Gesù è che Dio è vicino, è dalla loro parte. Il Vangelo si conclude con un’ultima beatitudine: «Beato colui che non si scandalizzerà di me», cioè colui che non avrà difficoltà a riconoscere che il metodo di Dio si manifesta non per le armi dei crociati, ma attraverso i segni modesti, ma reali, di una comunità in cui non poche persone amareggiate, chiuse in se stesse, deluse, cominciano ad aprirsi alla speranza.
Nella traduzione della CEI leggiamo: «Giovanni, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli…». Ma c’è un’altra lezione del testo che si traduce in italiano con «mandò due dei suoi discepoli». Nella prassi ebraica per testimoniare, per dichiarare se una cosa è vera o falsa, se una persona è innocente o colpevole, occorre la deposizione concorde di due o più testimoni. Questo fa pensare che i messaggeri inviati dal Battista fossero due. «Andate a dire a Giovanni»: sono due evangelizzatori che portano una parola confortata dalla testimonianza di due paia di occhi che hanno visto e due paia di orecchi che hanno udito. C’è tutto il tema della testimonianza, dell’evangelizzazione: ai poveri è annunciato il Vangelo. «Signore, ti chiediamo di non essere scandalizzati dalle tue proposte, di non avere riserve mentali, di non fare passi indietro. Tutto come vuoi tu. Siamo zoppi che camminano, lebbrosi purificati, sordi che ascoltano. Come direbbe san Paolo, uno che è vivo dopo essere stato morto».
Accendiamo oggi la terza luce: è la luce della gioia. La prima era la luce della vigilanza, la seconda la luce della conversione, impegni che perdurano. La luce della gioia dice che il mondo è salvabile e Gesù chiama me e te, chiede che mettiamo a disposizione mani, piedi e cuore per collaborare alla sua opera: «Voi farete cose più grandi di me».