Omelia nella III domenica del Tempo Ordinario

San Marino Città, 27 gennaio 2019

Festa di San Giovanni Bosco

Sir 1, 1. 23; 2, 1-6. 10-11
Sal 32
Fil 4, 4-9
Mt 18,1-6.10

Buona festa a tutti voi!
Oggi farò un’omelia un po’ diversa dal solito. Immagino di fare un’intervista a san Giovanni Bosco. Vado da lui col mio tablet e gli rivolgo delle domande.

  1. «Don Bosco, dove ti trovo? Dove mi dai appuntamento?».

Don Bosco: «In chiesa… Io sto qui». «Ma c’è tutta Torino da incendiare d’amore – gli rispondo – ci sono migliaia di giovani scesi dalle montagne per avventurarsi in città, cercando lavoro, una vita più aperta, un futuro diverso! E tu stai in chiesa?».
«Sono qui, perché qui sbocciano i miei sogni. Qui traggo ispirazione. È qui che ripeto al Signore – si sarà ormai stancato –: “Ti cedo tutto, ma dammi i ragazzi. Te lo dico anche in latino: Da mihi animas, cetera tolle. È qui che ho pensato all’oratorio dei ragazzi e sono venuti in centinaia. Ho pensato non solo ai ragazzi di oggi, ma anche a quelli di domani. A quelli del Piemonte, ma anche a quelli della Repubblica di San Marino! Ho preso casa in periferia; a disposizione c’era solo una bicocca fatiscente. Ho coinvolto tante persone, persino la mia mamma Margherita. Ci mancava di tutto, ma una cosa non mancava mai da noi: era – stanne certo – l’allegria. Anzi, avevo uno slogan: “Scrupoli e malinconia, fuori da casa mia”. E guai a chi parla male dei ragazzi! Sono monelli, a volte graffianti, soprattutto disoccupati – così sono tanti giovani nella mia Torino. Non critichiamoli, ma diamo loro cultura, lavoro, opportunità».

  1. «Don Bosco, che cosa pensi dei bambini e dei ragazzi?».

«Quando ho di fronte un ragazzo – risponde don Bosco – so che dentro di lui c’è una perla: ogni ragazzo è come una conchiglia. Cerco di forzarla e di aprirla: che sorpresa! Dentro, chiusa come in uno scrigno, c’è una perla di inestimabile valore. A volte i ragazzi non lo sanno neppure. L’ho capito, ad esempio, con il primo dei ragazzi che ho incontrato, quello a cui ho chiesto: «Sai scrivere?». «No». «Sai leggere?». «No». Sai disegnare? «No!». Sai cantare?». «No». «Sai fischiare?». Questa era l’arte di don Bosco che non si arrendeva e continuava a cercare anche solo una cosa positiva. Quel ragazzo disse: «Sì, certo». Allora lo chiamò per iniziare con lui a formare l’oratorio.
I discepoli, una volta, hanno chiesto a Gesù: «Chi è il più grande nel regno dei cieli?» (cfr. Mc 9,34). Tu che ne pensi? «Quella domanda – con tutto il rispetto per gli apostoli – è un po’ sciocca, per lo meno ingenua, perché rivela che loro pensavano il Regno di Dio come una grandezza mondana (di questo mondo), dove contano le carriere, il potere, le gerarchie. Invece Gesù ha chiamato un bambino in mezzo a loro – con grande acume didattico – e ha detto che, per entrare nel Regno di Dio, bisogna diventare come quel bambino. Il bambino è nativamente spontaneo, sincero, non ha ambizioni egemoniche. E la comunità dei discepoli di Gesù non dovrà dar credito a carrierismi, ma essere accogliente, semplice, discreta. Guai a chi si vergogna ad accogliere anche uno solo di questi bambini, anche se a volte sono fastidiosi, perché pongono tante domande e vogliono giocare. Si guardi bene l’educatore, l’animatore, il leader dal «disprezzare anche uno solo di questi piccoli». «Gesù ci ha detto – continua don Bosco – che “i loro angeli (ogni bambino ha un angelo custode) nel cielo vedono sempre la faccia del Padre”, fanno parte del consiglio ristretto di Dio (anche Dio ha un consiglio pastorale!)». Gli angeli dei bambini possono essere nostri avvocati difensori o, al contrario, i nostri accusatori.

  1. «Caro don Bosco, permetti che ti faccia una domanda un po’ imbarazzante, che tocca una situazione che stiamo vivendo oggi nel mondo: ci sono degli adulti, a volte sono parenti, allenatori, maestri, qualche volta persino dei sacerdoti, che non hanno rispetto dei ragazzi e delle ragazzine. Tu che ne pensi?».

«Quanto dolore. Quanta sofferenza, soprattutto per chi è stato vittima di molestie e di mancanze di rispetto. Quanta ingiustizia ai danni della convivenza sociale. E quanta vergogna per la comunità cristiana che al suo interno si è trovata crimini che più di altri smentiscono il Vangelo. Eppure, è accaduto e accade. Ciò che sconcerta di più – mi confida don Bosco – è il tentativo di coprire e di proteggere chi fa del male ai ragazzi. Però non basta la condanna, occorrono la prevenzione e la cura di chi è stato vittima».

  1. «Se le cose stanno così, caro don Bosco, allora non verrebbe neanche voglia di dedicarsi ai ragazzi… Che ne dici?».

«No, vorrei incoraggiare tutti coloro che sono educatori, catechisti, animatori Scout, insegnanti, a continuare a prendersi cura dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, con trasparenza, con rispetto, con amore. Chiedere perdono per il male che è stato fatto e cercare riparazione è il primo passo, ma non è sufficiente perché guarda solo al passato. Occorrono risposte che guardino avanti, al futuro, che assicurino un cambiamento radicale di mentalità, perché la sicurezza dei bambini e dei ragazzi ha la priorità assoluta. Sta scritto: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme”(1Cor 12,26)».

  1. Avrei un’ultima domanda. «Don Bosco, tu sei santo, san Giovanni Bosco, ma ti sentiamo ancora vivo, vicino, ti sentiamo “dei nostri”. Qual è il segreto della santità?».

«Anche tu devi farti santo!».
«Santo? Impossibile. La santità mi sembra una cosa da recordman, da persone grandi. E poi… aureole, nicchie, mani giunte, non fanno per me, non mi appartengono.
«Cos’hai capito della santità? Che sia una posa? Tutti siamo chiamati ad essere santi. “Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei una ragazzina o un ragazzino? Chiediti quello che Gesù farebbe al tuo posto. E poi studia, quando è ora di studiare, prega, quando è ora di pregare, gioca, quando è ora di giocare” (cfr. GE 14)».
Quando senti la difficoltà, la tua debolezza, alza gli occhi al Crocifisso e digli: «Signore, io sono un poveretto, ma tu puoi compiere il miracolo di rendermi un poco migliore». Ecco la santità.
«Tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei tuoi pensieri».
Caro don Bosco, grazie e arrivederci!