Omelia nella II domenica del Tempo Ordinario
Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 15 gennaio 2023
Is 49,3.5-6
Sal 39
1Cor 1,1-3
Gv 1,29-34
Ci è familiare – lo ripetiamo diverse volte nella Messa – il grido: «Ecco l’Agnello di Dio!».
Giovanni Battista presenta le “credenziali” di Gesù Cristo e Giovanni, l’evangelista, cent’anni dopo, le presenta a noi. Chi è Gesù Cristo? Giovanni risponde: è l’Agnello di Dio, l’Agnello di Dio mandato per togliere il peccato del mondo, l’Agnello immolato, sacrificato e ne annuncia la preesistenza: «Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me». In pochi versetti abbiamo una concentrazione cristologica straordinaria: c’è tutto lo sviluppo del quarto Vangelo.
La liturgia interrompe la lettura del Vangelo di Matteo, che riprenderemo per una lettura continuata, e leggiamo la presentazione del mistero di Cristo che ne fa l’evangelista Giovanni.
Gesù è l’Agnello di Dio. Gli ascoltatori di Giovanni pensavano sicuramente all’Agnello pasquale (cfr. Es 12,1-14) e questo raccontavano ai loro bambini: «Quella notte eravamo schiavi in Egitto… Il Signore venne a liberarci, ci chiese di immolare un agnello e, col sangue dell’agnello, di segnare gli stipiti delle nostre porte, perché l’angelo potesse passare oltre e non colpire». «Ecco l’agnello di Dio», l’agnello da mangiare nella notte di Pasqua: Gesù è l’Agnello pasquale.
Gesù è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Il riferimento al Servo di Jahvè era sentito nella prima comunità cristiana. Nel libro di Isaia ci sono quattro carmi (cfr. Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12) che descrivono questo misterioso personaggio, che viene chiamato servo, ma che si può anche tradurre con agnello (è la stessa parola nella lingua aramaica): un servo che è mandato a portare la luce al mondo intero. Purtroppo, questo servo si imbatte nell’ostilità del suo popolo e viene percosso, trafitto, ma al Signore piace il suo sacrificio, lo gradisce e lo risuscita. Dunque, nelle parole servo e agnello due “faglie” di Antico Testamento, con armoniche sublimi, mistiche, si incontrano in Gesù. Gesù, l’Agnello sacrificale e pasquale, è pure il capro espiatorio: tutti erano invitati ad imporre le mani su di lui per scaricare simbolicamente i peccati e poi veniva abbandonato nel deserto. Il Servo sofferente, nel quarto carme (cfr. Is 53), è l’agnello che viene cantato come colui che porta sulle spalle, e porta via, il peccato che è nel mondo: noi veniamo risanati dalle sue ferite. Gesù prende su di sé i nostri fallimenti, le nostre inconsistenze, i nostri peccati, perché da soli non possiamo salvarci. La salvezza viene da fuori di noi. Nessuno che sta annegando può tirarsi fuori dall’acqua da solo, pur con tutti gli sforzi. Dire salvezza significa riferirsi alla relazione con un Altro, con un Tu. La parola servo – «Mio servo tu sei, Israele» (Is 49,3) – per noi può avere un’accezione negativa, ma per gli ebrei era un’aspirazione diventare servi di Dio. Essere servo significava essere “servibili”, utili, capaci. Il pio israelita amava poter essere servo di Dio, non era disdicevole, svantaggioso per lui. Gesù è agnello ed è servo di Dio. Anche noi possiamo essere servi e “servi inutili” (cfr. Lc 17,10), che fanno con gratuità, senza ricompensa.
Grünewald, uno dei più grandi pittori tedeschi a cavallo del 1400-1500, ha dipinto con una grande drammaticità il mistero della croce del Signore; di fianco al Crocifisso ha inserito Giovanni Battista che lo indica col dito. Sul fondo la scritta: «Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo».
Mentre nelle mitologie religiose antiche le divinità vengono raffigurate nella pretesa di voler prendere qualcosa dagli uomini, di aspettarsi qualcosa da loro, nella fede cristiana è esattamente il contrario: è Dio che si avvicina allo scorrere della loro vita, perché vuol dare tutto, dando se stesso.
Un’altra sottolineatura. Si parla del peccato che viene “tolto dal mondo”. Nei Vangeli si parla del peccato solo come di una realtà che viene tolta. Vedremo Gesù incontrare peccatori, pubblicani, persone prigioniere del male ma finalmente risanate e liberate. Sfogliando il Vangelo, si direbbe quasi che il peccato non ci sia più, l’ha preso Gesù, se l’è caricato sulle spalle. Questo dà molta fiducia, perché impariamo che il peccato che è in noi è una ferita dalla quale possiamo guarire, un incidente che possiamo superare. Come dicevo recentemente, nelle feste del Natale, il mondo è guaribile.
Ritorna il tema dell’acqua, l’acqua che, ad un tempo, purifica e affoga, allusione ad un’acqua, quella del Battesimo, dove si cedono i peccati e si risorge rinnovati. Quello che è concentrato nel rito è qualcosa che si sviluppa, si irradia.
Il Gesù indicato da Giovanni Battista, che viene dopo di lui cronologicamente, perché compare lungo il fiume, in verità è prima di Giovanni. Si afferma la preesistenza di colui che nel Prologo è stato cantato come il Verbo di Dio, che è presso Dio e che è Dio; il Verbo che si fa carne e viene ad abitare in mezzo ai suoi. Dunque, anche qui c’è un richiamo esplicito al mistero di Gesù e della Trinità.
Gesù viene descritto come Colui che dà lo Spirito, la sua umanità è uno strumento dello Spirito. Giovanni Battista dice che a battezzare lungo il fiume è stato mandato da Dio, affinché potesse individuare fra tutti i pellegrini colui che è il Messia: «Ma come lo riconoscerà?». Lo riconoscerà perché su di lui scenderà lo Spirito, la terza Divina Persona, raffigurata con un’immagine dell’apocalittica, come colomba. Lo Spirito si ferma su Gesù e Gesù diviene colui che dona lo Spirito. Non è un dettaglio secondario; in fondo, tutta la storia della salvezza non ha di mira altro che questo, che i figli dell’uomo, tutta l’umanità, siano pervasi dalla santità di Dio, dal suo Spirito. L’effusione dello Spirito, la Pentecoste, è il punto d’arrivo di tutta la storia della salvezza, perché gli uomini possano essere messi a parte della stessa vita di Dio, possano avere in loro lo Spirito, il respiro di Dio (cfr. 2Pt 1,4). La realtà del peccato è drammatica, ma è bellissima la notizia che non solo il peccato è vinto, ma ci è data la pienezza della vita di Dio. «Vieni, Spirito Santo, riempi il cuore dei tuoi fedeli». Così sia.