Omelia nella festa di Sant’Agata
Sant’Agata Feltria (RN), 5 febbraio 2021
2 Cor 10,17-11,2
Sal 123
Mt 10,28-33
1.
Voi siete qui! Così si legge nelle topografie turistiche.
Qui è tempo di epidemia: desolati, impauriti, ansiosi, in difesa, distanziati per salvare le relazioni… Quando la normalità?
È crisi sanitaria, ma anche economica, sociale ed educativa. Sul conto va aggiunta la tensione politica, l’attesa di un nuovo governo…
L’epidemia, al suo inizio, può essere raffigurata nella scena iniziale del film Chernobyl: tutti addossati sul parapetto di un ponte a guardare in lontananza l’esplosione della centrale nucleare. Uno spettacolo simile ad una serata di fuochi artificiali. Ma gli spettatori già respirano le particelle radioattive. È iniziata così: la prima fase fu la spettacolarizzazione dell’epidemia, finché ci si è resi conto che toccava tutti noi: è arrivata in casa nostra. Il treno, o la barca per dirla con Papa Francesco, sul quale viaggiavamo tranquilli e sicuri si è fermato: c’è un guasto. Non c’è differenza fra prima e seconda classe. Tutti giù ad aspettare la ripartenza: ma quando?
La sosta forzata ha fatto prendere coscienza ai viaggiatori – siamo noi – della propria costitutiva fragilità, della vulnerabilità dei sistemi, ma anche l’interdipendenza: tutti sulla stessa barca, nessuno escluso. Con quali risorse ci si è messi ad affrontare la crisi? Da subito almeno tre: intelligenza (ricerche della biologia e della medicina, organizzazione sociale, regolamenti); cuore (famiglia, volontariato, impegno degli addetti ai lavori: infermieri, medici e personale sanitario in genere…); mani giunte (preghiera con l’effetto immediato di infondere speranza, di farci sentire “fratelli tutti” e di guardare al nostro destino ultimo).
«Peggio di questa crisi è solo il dramma di sprecarla» (Papa Francesco).
Mi spiego portandomi con la mente ed il cuore al cammino, mesto e fuggitivo, di due discepoli di Gesù, all’indomani della sua crocifissione. Hanno il volto triste, sono in fuga da Gerusalemme, vanno verso un villaggio nel quale rifugiarsi… Emmaus. Uno sconosciuto si affianca a loro. Inizia un dialogo. I due gli confidano la loro disperazione: «Noi speravamo…». Lo sconosciuto è Gesù Risorto, che si è messo accanto a loro per ascoltarli. Sorprende quando prende la parola, perché non si attarda nella commiserazione, nella lamentazione… Ma lì, subito, sulla strada si mette a ripercorrere la storia della salvezza spaziando da Mosè ai profeti… E scuote i due viandanti: «Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!». Gesù allarga l’orizzonte e li tira fuori dalla loro tristezza.
Gesù non fa programmi, né progetti, ma avvia e incoraggia processi. Non detta l’agenda ai due di Emmaus, ma fatto sta, che dopo la sosta nella locanda, “quei due” invertono il cammino, tornano a Gerusalemme, rientrano nel gruppo che avevano lasciato, relazionano sull’incontro avuto, ascoltano il racconto degli altri e si rendono disponibili alla grande avventura dell’evangelizzazione che da Gerusalemme interesserà tutto il mondo…
2.
Voi siete qui!
Questo è il senso del nostro radunarci come popolo qui in chiesa, nel giorno in cui ricordiamo la coraggiosa fanciulla siciliana, sant’Agata. Ma c’è di più. Ci chiediamo: «Quando torneremo alla normalità?». Ci sarà – ce lo auguriamo – ma dobbiamo considerare “normale” per chi abbraccia il Regno di Dio affrontare “prove e persecuzioni”. Nessuna esenzione: neppure per chi è fervoroso nella preghiera, per chi fa del bene, per chi è ineccepibile come cristiano… Del resto la nostra patrona Sant’Agata non ha scansato la persecuzione e la morte.
Un vero cristiano impara presto che la sua fede lo attrezza ad affrontare la crisi, a trovare “normale” gestire con forza, con fede, l’anormalità. Chiediamo le guarigioni per noi e per gli altri. E facciamo bene. Ma non perdiamo di vista il nostro destino ultimo, non dimentichiamo il paradiso. È frequente nei Vangeli (nei racconti di miracoli fatti da Gesù) il rincorrersi di due verbi, due verbi diversissimi, anche se noi li prendiamo come sinonimi: “guarire” e “salvare”. Quando Gesù ha guarito i dieci lebbrosi, soltanto uno è tornato indietro a ringraziare, a riconoscere Gesù Signore e Gesù gli ha detto: «La tua fede ti ha salvato». Dieci guariti, uno salvato. Così, quando Gesù guarisce la donna che perdeva sangue, colei che di nascosto gli aveva sfiorato le frange del mantello. Gesù la riconosce e le dice: «Donna sei guarita, la tua fede ti ha salvato». Le guarigioni erano soltanto un segno… Lazzaro è tornato a morire, la dodicenne figlia di Giairo è tornata a morire, il lebbroso è tornato a morire. Quello che Gesù vuol dare è qualcosa di più grande: la salvezza per sempre. È bene che abbiamo buona salute, anche per avere la fierezza di servire e aiutare gli altri, ma non dimentichiamo la meta.
3.
Voi siete qui!
La comunità da qualche mese ha vissuto l’avvicendamento nella guida della parrocchia. Ogni cambiamento comporta nuovi assetti, variazioni sia nel cuore che nelle cose pratiche, uscite, rientri. Come vivere il cambiamento? Come vivere i cambiamenti in generale? Anzitutto guardare all’essenziale e l’essenziale non è il minimale, ma ciò che resta con tutta la sua vitalità e forza: siamo discepoli del Signore Gesù, Lui è presente, è al centro dei nostri cuori. In tutti noi brilla la perla del Battesimo e il tesoro che nessuno può rapirci!
E poi prendere coscienza che la parrocchia fa parte di una realtà più grande che è la Diocesi, dove le persone si alternano nel servizio, perché di servizio si tratta. I ruoli sono diversi come le forme di responsabilità, ma tutti concorrono al bene di tutti (da chi sanifica la chiesa a chi fa lo sforzo di trattenere un giudizio). Una considerazione particolare la Chiesa ha verso il laicato; vede la necessità di promuoverne il protagonismo; incoraggia le forme di aggregazione, soprattutto l’Azione Cattolica; vuole l’esercizio della sinodalità, che si lavori insieme e che ci siano i Consigli parrocchiali pastorale e degli affari economici; sente l’urgenza della formazione: fossero anche piccoli gruppi, ma assidui nella lectio divina.
Voi siete qui!
È l’anno centenario della morte di padre Agostino da Montefeltro. È in programma un grande convegno. La causa di canonizzazione sta andando avanti, mentre avete la gioia di avere tra voi le sue figlie spirituali.
Voi siete qui! Ognuno sa quello che ha in cuore (preoccupazioni, timori, fallimenti, gioie, ecc.). Qui è a casa sua, qui la possibilità di un nuovo incontro personale e comunitario con il Signore Gesù!