Omelia nella Festa di Santa Chiara

Valdragone (RSM), convento delle Clarisse, 10 agosto 2022

Auguri per la festa della vostra Madre e… vostra, perché ognuna di voi è chiamata ad essere Chiara.
Le immagini di santa Chiara di Assisi sono tantissime, tutte suggestive, tutte esegesi del Vangelo, tutte ben documentate nella storia. Penso all’incontro di Chiara con Francesco, alla “fuga d’amore” di Chiara che, alla domanda di Francesco: «Cosa vuoi?», risponde: «Dio!». Penso all’immagine di Chiara circondata da una schiera di vergini che la seguono; e all’incontro con il Papa per chiedere il privilegio di vivere in assoluta povertà.
Desidero fermarmi sull’icona che raffigura Chiara che va incontro ai saraceni, assoldati dall’imperatore per saccheggiare il monastero, stringendo nelle mani il ciborio con l’Eucaristia e attorno a lei le sue figlie. Chiara, le sue sorelle, il monastero, l’Eucaristia, il programma di vita fraterna, Gesù povero in mezzo a loro: tutto questo ci parla della Chiesa, Sposa di Cristo, Corpo di Gesù.

Sono quattro gli elementi essenziali che rivelano, radicano, configurano la Chiesa nella comunione: da essi non si può prescindere.

  1. La comune chiamata. Noi non ci siamo scelti, siamo stati chiamati, al di là delle singole provenienze. Si sta insieme, come cristiani, non per simpatia o per comunanza di idee, tanto meno per un censo economico. Paolo, rivolgendosi ai Corinti, dirà: «Non vi sono tra voi molti nobili, molti sapienti, eppure al Signore è piaciuto riunirvi insieme» (cfr. 1Cor 1,26-27). È un Altro che ci ha chiamati e ci tiene insieme; è guardando a lui, il Signore Gesù, che facciamo comunione tra noi.
  2. L’ascolto della Parola di Dio. Siamo tutti sotto la sua Parola. C’è un momento suggestivo nell’ordinazione di un vescovo: due diaconi prendono l’Evangeliario e lo mettono sul capo dell’eletto come per dirgli: «Sei sotto la Parola di Dio; accoglila, fanne riferimento esplicito della tua vita». Questo è vero per ogni cristiano. La comunità cresce sempre di più con la condivisione dei frutti della Parola: «Quando leggi il Vangelo e lo vivi, ti trasforma in un altro Gesù», tant’è vero che la Chiesa – docile alla Parola – diventa Corpo di Cristo. Si potrebbe stabilire un’analogia fra le parole pronunziate sul Pane nella Messa e le parole pronunziate sulla comunità. La condivisione delle esperienze consolida il tessuto comunitario; si tratta di narrazioni che testimoniano ciò che lo Spirito fa in ciascuno di noi.
  3. L’Eucaristia. Si dice: «L’Eucaristia fa la Chiesa» ed è proprio così, Chiara ce lo insegna in modo particolare. Come far sì che le nostre diventino sempre di più comunità eucaristiche? Bisogna che quanto si celebra diventi programma di vita. Proviamo a passare in rassegna tutti i momenti della Messa: l’accoglienza; la richiesta e l’offerta di perdono; l’ascolto attento della Parola di Dio; l’offertorio, con cui si mette sull’altare la nostra vita, la nostra giornata, quello che ci rattrista e quello che ci rallegra: la vita cristiana come oblatività; la consacrazione: parole pronunciate sul pane ma anche sulla comunità: «Questo è il mio corpo dato per voi, questo è il mio sangue versato per voi» (Lc 22,19-20); il momento dell’intimità con lo Sposo; la missione. Se vivessimo tutti i momenti della Messa, potremmo dire di avere una vita eucaristica.
  4. L’attesa, la tensione verso l’avvento del Regno. In genere si dà poca importanza all’attesa, relegandola al momento liturgico dell’Avvento, eppure è elemento fondamentale. Di fronte al comune sguardo sull’orizzonte, sul futuro, su quello che avverrà alla fine della nostra vita e alla fine della storia, i nostri passi e le nostre volontà si congiungono e gridiamo: «Vieni Signore Gesù!». La comunità è tale non solo per l’origine, ma anche per l’attesa condivisa, traguardo del cammino, speranza del futuro.

Elementi tutt’altro che decorativi, soprattutto nei momenti in cui è facile perdersi di coraggio e si sente la stanchezza. Questi quattro elementi – la comune chiamata, l’ascolto della Parola di Dio, l’Eucaristia, la tensione verso l’avvento del Regno – sono, in fondo, le quattro perseveranze di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli. Così si dice dei primi discepoli: «Erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento, nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). Tutto questo è da calare nel nostro tempo. Qual è il nostro compito come comunità cristiana? È quello di tenere accesa, per il bene di tutti, la semplice fiamma della vita evangelica. «Tutte le volte che la comunità dei cristiani sa restituire ossigeno alla fiamma del Vangelo qualcuno alza sguardo»; qualcuno di altra cultura, di altra formazione che, magari solo da lontano, osserva la fiamma del Vangelo come un segnale da non perdere d’occhio. Quella luce che la comunità cristiana ha tra le sue mani serve anzitutto a lei per non smarrire la strada, ma quando è capace di tenerla viva i suoi riflessi trascinano anche le moltitudini.
Ormai alla fine dell’estate si sta cominciando a pensare al Programma Pastorale che la nostra Chiesa vuole ostinatamente attuare. In questo tempo di fragilità è necessario credere nello Spirito Santo, che genera e rigenera la comunità, continuare a vivere il Vangelo che ci è stato affidato, senza preoccuparci troppo dei numeri, tentazione sempre in agguato. Quando ci si incontra tra vescovi spesso ci si chiede: «Quanti seminaristi hai? Quanti giovani perseverano? Quante famiglie sanno progredire nella comprensione del sacramento del matrimonio?». Domande che costringono a prendere nota dei numeri. Non dobbiamo preoccuparci di questo, ma rimanere fedeli all’essenziale, reagire, nel caso ci sia avvilimento, continuare ad essere discepoli.
È passato circa un mese dall’Assemblea di fine anno pastorale. I partecipanti, in quell’occasione, hanno avuto la percezione spirituale di ritrovarsi nel Cenacolo, insieme con Maria, la Madre di Gesù, avvolti dallo splendore dello Spirito Santo. Propongo di ripartire, nel nuovo anno, in continuità con quell’esperienza. È il momento dell’uscita dal Cenacolo sulla piazza della città. Questo vale anche per chi non era presente all’Assemblea, vale per tutti. Credenti e diversamente credenti siamo mandati ad “abbracciare il mondo”, particolarmente in questi giorni così difficili; siamo chiamati ad esercitare la nostra responsabilità, non da soli ma insieme. Ho rivisitato recentemente un testo antico, dal Concilio di Trento (1563), mi è parso suggestivo: la comunità è paragonata alla Sposa del Cantico dei Cantici, della quale si dice che è così bella che sbaraglia eserciti con una sola delle sue trecce. La bellezza che conquista è la sua unità (cfr.  Sessione XXIII, c.4). «Uniti perché il mondo creda» (cfr. Gv 17,21). Facciamo nostro il fascino della comunione. Così sia.