Omelia nella Festa di San Lorenzo
Belforte all’Isauro (PU), 10 agosto 2021
At 6,1-7
2Cor 9,6-10
Sal 111
Gv 12,24-26
Abbiamo sentito leggere la pagina degli Atti degli Apostoli che narra l’istituzione dei diaconi. La Seconda Lettura, invece, è ambientata al tempo della raccolta che i cristiani di Corinto organizzano per i cristiani di Gerusalemme che stanno subendo la carestia. Poi, il Vangelo ci ha riportato un tratto dell’ultimo discorso di Gesù prima della Passione.
L’espressione del Vangelo scelto per la festa di san Lorenzo è a prima vista scioccante. Va capita bene. Potrebbe essere letta così: «Chi ama male la sua vita, la perde». Tradurrei in italiano il verbo “odiare” con “amare male”. E prosegue: «…Chi la dona in questo mondo, la conserva per la vita eterna». Se questo testo è utilizzato per la festa del diacono e martire, Lorenzo, è evidente che la sua vita esplicita questo insegnamento di Gesù. «Amare male la propria vita» è trattenerla egoisticamente. “Amarla bene” è donarla a Cristo, che la utilizzerà per il bene dei fratelli. Penso a Maria di Betania che offre tutto il suo profumo prezioso, che simboleggia la sua vita, e lo sparge su Gesù durante la cena nella sua casa. Così fa Lorenzo: la sua storia, riassunta da queste letture, ci ricorda che il dono di sè non si programma, non lo si può calendarizzare (oggi sì, domani no, oppure solo a ore o a cottimo). Siamo invitati a vivere anche noi questo paradosso cristiano: chi perde, guadagna. Bisogna farsi attenti alle circostanze, alle occasioni: non perderle, perché poi non tornano più. I cristiani di Corinto non avevano pensato alla carestia che metteva i loro fratelli di Gerusalemme alle strette, però, richiamati da Paolo hanno colto l’occasione per la colletta.
Lorenzo, probabilmente, ancora giovane, avrà immaginato di fare del bene ai poveri sino alla fine della sua vita. No, il dono di sé lo si fa nel presente, non è rinviabile, non è segnato sul lunario. Se il dono di sé è generoso, il suo frutto rimane: la generosità di Lorenzo ha lasciato un segno! Nel testo paolino che è stato letto il verbo donare ricorre cinque volte, allude – per così dire – ad una cultura del dare.
Dice Gesù: «Là dove sono io, sarà anche il mio servo». È una delle ultime parole di Gesù prima della Passione. Essere là dove il Signore dona la sua vita come servo, unire la propria vita alla sua, il proprio sangue al suo: questo non si compie solo nel martirio cruento. Se il diacono Lorenzo è arrivato a questo punto, è perché aveva già fatto della sua vita un dono. Come? Vivendo da diacono, cioè da servo, animato dalla carità verso i poveri.
Vorrei dirvi una frase di Christian de Chergè, uno dei martiri di Thibirine, in Algeria: «Prendere il grembiule come Gesù può essere un’azione grave e solenne, come il dono della vita. Viceversa, donare la propria vita può essere semplice come mettersi il grembiule». A volte la preghiera della Colletta nella Messa può sfuggirci, perché è molto articolata e densa. La preghiera di oggi dice di chiedere tre cose: l’ardore della carità: l’amore è come un fuoco da alimentare con il carburante della preghiera; la fedeltà nel ministero: ognuno di noi ha compiti e responsabilità, una diaconia da esercitare; la gloria del martirio: non ci è chiesto il martirio cruento, ma il martirio nella vita quotidiana. Raccogliamo con gioia e gratitudine le parole di Gesù: «Là dove sono io, sarà anche il mio servo». Così sia