Omelia nella festa del Battesimo di Gesù
San Marino Città, Basilica di San Marino, 12 gennaio 2020
Is 42,1-4.6-7
Sal 28
At 10,34-38
Mt 3,13-17
Pellegrinaggio della parrocchia di Fiorentino alla Basilica di San Marino
(da registrazione)
Rivolgo un saluto speciale alle Autorità presenti e ai miei Confratelli, ma soprattutto ai bambini, ai ragazzi e alle loro famiglie.
Nella nostra splendida Basilica è racchiuso, come in uno scrigno, il nostro Santo Patrono e Fondatore, Marino.
Conoscete bene la sua storia, in particolare quello che si riferisce alla vicenda straordinaria da cui è nata la nostra Nazione, piccola, ma grande nei suoi ideali.
Al termine della Messa – come sapete – verrà consegnata a ciascuna famiglia una statuetta che riproduce la scultura situata sopra l’altare, perché il legame col santo Marino sia sentito in tutte le famiglie. Questa preziosa consegna avviene nel giorno in cui Gesù va al fiume Giordano per ricevere il Battesimo. Il racconto comincia con una disobbedienza: Giovanni Battista non vuole battezzare Gesù. «Tu sei il Signore, non hai bisogno di venire purificato come noi». Ma Gesù insiste: «Devi battezzarmi. Deve compiersi ogni giustizia» (cfr. Mt 3,14-15). Perché vuole essere battezzato? Qual è il significato del Battesimo di Gesù? Si può riassumere in un verbo, il verbo discendere. Dal VI secolo a.C. una delle preghiere più formidabili che facevano gli Ebrei era il Salmo 63 dove si cantava: «Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi». In fondo è il grido di ogni creatura umana: «Signore, fatti conoscere!». Ho riletto in questi giorni, per l’ennesima volta, l’incontro del Cardinal Federigo con l’Innominato nei Promessi Sposi. Quando il Cardinale va incontro all’Innominato, egli sta lottando dentro il suo cuore e si sottrae all’abbraccio. Ma il Cardinale chiede perdono per primo all’Innominato, dicendo che avrebbe dovuto cercarlo prima, per andare a parlargli di Gesù. L’Innominato, nell’atto di ritrarsi, dice: «Dio, Dio, se lo vedessi! Se lo sentissi!». È quello che a volte capita anche a noi di esclamare: «Signore, fatti conoscere! Davvero sei vicino a noi?». Il Cardinale replicò: «Ma chi più di te sente la sua presenza? Questa presenza che ti inquieta, che ti turba, ma che adesso ti abbraccia» (cfr. A. Manzoni, I promessi sposi, cap. 23). E avvenne la bellissima narrazione del Capitolo 23 del romanzo. «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!».
Nel Natale i Cieli si sono squarciati, è sceso il Figlio di Dio, il Verbo, in Gesù di Nazaret. Dopo trent’anni di vita nascosta Gesù si reca sulle rive del fiume Giordano, scende nell’acqua e fa la fila con i peccatori, con le persone che si sentono sbagliate e patiscono della loro condizione. Gesù è solidale con loro e con loro scende in quelle acque risananti. È quello che proclamiamo tutte le domeniche nella preghiera del “Credo”: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo». D’ora in poi, quando pregheremo il “Credo”, ci rimarranno impresse quelle parole che si riferiscono alla discesa nel Santo Natale e alla discesa al fiume Giordano. Ed ecco uno spettacolo grandissimo: si apre il Cielo. È un linguaggio simbolico, ma «si udì una voce». Mentre Gesù saliva dalle acque, il Padre dice tre cose (parla solo due volte nei Vangeli), che ci riguardano, perché le pronuncia su ciascuno di noi: «Tu sei figlio mio, l’amato, sorgente della mia gioia».
«Tu sei figlio mio»: ognuno di noi può dire che Dio è papà. A volte si dice che Dio è come i nostri papà, ma piuttosto è il contrario: i nostri papà devono essere come Dio.
«Tu sei l’amato»: ognuno di noi può dire di essere amato personalmente, di essere il prediletto.
«Tu sei sorgente della mia gioia»: ognuno di noi può dire di essere la gioia per Dio.
In quel momento, con quelle parole, da una parte Dio raccomanda Gesù, lo accredita come Messia, ma nello stesso tempo, dall’altra parte dice: «Ciascuno di voi, unito con Gesù, ha questo destino».
Quando andavo all’università ho approfondito un testo scritto da un certo Joseph Ratzinger intitolato “Un popolo messianico”. Il professor Ratzinger è diventato poi papa Benedetto XVI. Noi siamo il popolo del Messia: dobbiamo avere un sano orgoglio per questo. Oggi parliamo del Battesimo di Gesù, ma non possiamo non accennare al nostro Battesimo. Ci siamo trovati cristiani senza aver mai deciso di esserlo. Bisogna che decidiamo di esserlo! Questo è il nostro più grande impegno. Quello di voi ragazzi è che partecipiate alla catechesi parrocchiale; quello di noi adulti la riscoperta del Battesimo. Il Battesimo, dato quando si è bambini, deve svilupparsi, crescere. Mi viene da paragonare il Battesimo ad un seme, il seme della sequoia. La sequoia è un albero altissimo; può raggiungere 104 metri di altezza e 9 metri di diametro. La sequoia imponente che vediamo oggi è stata un piccolo seme. Se quel seme fosse stato tenuto nel cassetto, sarebbe rimasto così. Invece, piantato nella terra, è diventato un grande albero. Allo stesso modo il seme del Battesimo deve svilupparsi. Oggi, ricordando san Marino, che ad Acquaviva, secondo la tradizione, ha fatto i primi Battesimi, siamo ridiventati cristiani. Ho iniziato la celebrazione ammirando lo splendore della nostra Basilica, ora abbasso gli occhi e ammiro questo popolo, un “popolo messianico”. Che cosa si viene a fare in chiesa alla domenica? Si viene a sentirsi dire che siamo amati immensamente, che siamo la gioia del Signore. Ecco perché non vogliamo mai più mancare. Così sia.