Omelia nella Domenica delle Palme

Pennabilli (Cattedrale), 14 aprile 2019

Is 50,4-7
Sal 21
Fil 2,6-11
Lc 22,14-23,56

1.

Abbiamo ascoltato, in questa domenica di apertura della Settimana Santa, il racconto della Passione del Signore secondo Luca. L’abbiamo sentito altre volte, ma ogni volta commuove. Dobbiamo serbarlo e meditarlo nel profondo e nel silenzio del cuore, oggi e nei giorni che seguiranno, lasciandogli liberare la forza capace di suscitare in noi non solo dei sentimenti di commozione e di gratitudine, ma anche propositi di conversione e di rinnovamento. Queste pagine del Vangelo ci aiutano a «conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, divenendogli conformi nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dei morti» (Fil 3,10-11): così san Paolo scriveva ai primi cristiani.
Consentitemi qualche parola sul Salmo che abbiamo pregato fra la prima e la seconda lettura, così legato alla pagina evangelica.
Penso che a tutti sia noto l’impegno della nostra Diocesi, soprattutto quest’anno, nella ricerca di una più grande consapevolezza del kerygma (il primo annuncio, il mistero della fede). La risposta che si dà al sacerdote quando pronuncia la parola «Mistero della fede», è kerygma: «Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta».

2.

I primi cristiani sentivano che i Salmi (la grande preghiera della comunità di Israele) erano abitati da una presenza, come in filigrana (una presenza che non si vede ma che c’è), e li trovavano composti su dimensioni così grandi che solo l’evento pasquale poteva abbracciarle tutte. Nel giusto dell’Antico Testamento, sottoposto a sofferenze e a prove, ma salvato da Dio, essi vedevano il volto e il suono della voce del loro Maestro, sentivano echeggiare i lamenti della Passione di Cristo e poi la gioia della sua risurrezione (cfr. At 2,25-28). Ad essi (ai Salmi), più che all’esegesi moderna, la morte e la risurrezione di Gesù erano annunciate dall’Antico Testamento (cfr. Lc 24, 26-27.44; 1Cor 15,30).

3.

Tra questi Salmi bisogna riconoscere un posto speciale al Salmo 22 per la sua attenta descrizione dell’anima del giusto, così drammaticamente provato, per la straordinaria intensità della sua speranza, per la ricaduta salvifica universale. Ebbene, quel Salmo parla in modo straordinario di Gesù.

4.

Il Salmo 22 racconta di un uomo – da notare che è stato scritto molti secoli prima di Cristo – condotto a morte tra indicibili crudeltà. La sua vita se ne va, scorre via come l’acqua. Lo hanno ferito, legato mani e piedi e deposto nella polvere. I carnefici sono già pronti a dividersi le sue vesti. «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?», così egli grida.

5.

Questo grido, però, è preghiera, non disperazione: chi dispera distoglie decisamente il suo sguardo da Dio. Nel buio ecco un punto luminoso: il Dio apparentemente lontano è il “suo” Dio (da notare l’aggettivo possessivo), alle cui braccia era stato affidato nell’uscire dal grembo materno. Ad un tratto però, nell’abbandono estremo, prorompe un grido di giubilo: Dio gli ha ridato la vita!
La vicenda di questo giusto non è legata ad altro che alla completa fiducia in Dio, pur nel pieno della sua angoscia. Nella lettura liturgica ci sono tutt’e tre queste realtà: la prova a cui è sottoposto, la fiducia in Dio, la ricaduta salvifica. Quello che è iniziato come un grande lamento – «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato» – si conclude con una Eucaristia, cioè con una lode. Egli intona la lode di Dio nella grande assemblea. Offre un «sacrificio di rendimento di grazie» del quale gioiscono tutti i poveri di Jahvè. E l’orizzonte si allarga: anche le nazioni vengono coinvolte nella lode; un tempo smarrite, esse si ricordano di Dio e ritornano a lui dai confini della terra. È una liturgia che si espande e abbraccia chi è sceso nello sheol e su coloro che nasceranno. È già annuncio di risurrezione. Sullo sfondo di queste parole si racconterà la Pasqua di Gesù.
Il Salmo si chiude con queste parole: «A lui solo si prostreranno quanti dormono sottoterra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere…». E poi: «La mia discendenza lo servirà. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia al popolo che nascerà» (Sal 22,30-32). Ecco, allora, con quali sentimenti di vittoria e di gratitudine prolunghiamo la meditazione della Passione del Signore. Questo pensiero ci accompagni in tutta la Santa Settimana. Così sia.