Omelia nella celebrazione del “Te deum” di fine anno
Pennabilli (cattedrale), 31 dicembre 2018
VII giorno fra l’ottava di Natale
1Gv 2,18-21
Sal 95
Gv 1,1-18
(da registrazione)
Vorrei che Pennabilli sentisse la responsabilità di essere il “centro diocesi”. Sono accadute tante cose in questo anno. In modo particolare penso alle due assemblee diocesane, quella di chiusura dell’anno pastorale sul tema “Tra la gente con la gioia del Vangelo” e quella di inizio anno tutta dedicata al kerygma, alle ordinazioni diaconali e alle professioni religiose, all’immissione di nuovi ministri… Avvertiamo anche il peso di situazioni difficili. È un po’ come nel presepio: è notte – e non si può accorciare la notte –, ma si possono accendere luci. Una luce è stata accesa a Betlemme e lì, a Betlemme, Dio ha cominciato un giorno nuovo. Dio non plasma più l’uomo con la polvere dall’esterno, come fu in principio, ma lui stesso si fa polvere plasmata, Bambino di Betlemme. C’è un ammirabile scambio: Dio è diventato di carne e, da allora, c’è una scintilla del Verbo, in ogni carne. Qualcosa di Dio è stato comunicato in ogni uomo. Dobbiamo dire grazie perché c’è santità, almeno incipiente, in ogni vita. Non si deve più dire: qui finisce l’uomo, là comincia Dio; qui finisce la terra, là comincia il Cielo, perché ormai, Cielo e terra si sono abbracciati. Dio e l’uomo si sono uniti e, almeno in quel Neonato, uomo e Dio sono una cosa sola. Dopo il suo Natale, il Natale del Signore, viene ora il tempo del nostro Natale. Infatti, Cristo è nato perché ognuno di noi rinasca, nasca di nuovo e nasca diverso. La risurrezione di Gesù è la grazia per la nostra risurrezione.
Dice il Vangelo che alcuni pastori vegliavano nella notte. La nostra notte non è meno oscura della loro. Tuttavia, accade anche per noi quello che è accaduto a loro, l’annuncio di un avvenimento: «Vi annuncio una grande gioia: è nato per voi il Salvatore» (Lc 2,10-11). E la gloria del Signore li avvolse di luce.
I pastori hanno ascoltato quell’annuncio e si sono messi in cammino: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento». Hanno osato. Mi piacerebbe mescolarmi tra loro e, per così dire, sentire il loro chiacchiericcio a proposito di questo viaggio nella notte. Qualcuno dice: «Ci sono buoni motivi per non metterci in strada: buio, pericoli, briganti, perché rischiare? Poi, forse, si tratta di una burla». Qualcun altro soggiunge: «Perché faticare, perché fare tanta strada? Stiamo bene qui, al riparo nel nostro ovile. Perché lasciare il certo per l’incerto? E per trovare che cosa? Un bambino? È la cosa più naturale del mondo; ogni bambino che nasce è un miracolo». Insisto nell’immaginare il dialogo fra i pastori. Qualcuno aggiunge: «E se, come dicono, quel bambino è il Signore, come presentarsi a lui? È prudente tornare sui nostri passi. La sua santità ci confonde; quella disarmante povertà contesta le nostre bramosie». Qualcun altro aggiunge ancora: «Se quel bambino è davvero il Messia, l’Agnello pasquale, ci indicherà sentieri aspri, in salita». Sì, vorrei dire a loro e dico a tutti noi: «Verranno giorni, per noi cristiani e per quanti stanno con lui, nei quali si dovrà tirar fuori tutta la grinta possibile per seguirlo. Bisognerà fare una scelta di campo, decidere da che parte stare. Non basterà più l’appartenenza scontata, non reggeranno più le adesioni a lui senza radici profonde». Ancora una domanda al termine di questo anno: «Chi sei per noi, Signore Gesù?». Per te ci mettiamo nuovamente in cammino. Accompagnaci nel nuovo anno che si apre. Così sia.