Omelia nella celebrazione del Mandato agli operatori pastorali
Pennabilli (Cattedrale), 23 settembre 2018
Gv 20,11-18
(da registrazione)
All’inizio di questo nuovo anno pastorale, se fosse possibile, darei a tutti il biglietto per andare a Gerusalemme, perché vorrei salissimo insieme al sepolcro, dove era deposto Gesù, per rivivere lo stupore e la gioia delle donne e dei primi discepoli e per sentir risuonare, come la prima volta, l’annuncio: «Gesù è risorto. Non è qui. È vivo!» (cfr. Mc 16,6).
In mezzo a noi ci sono tante persone che alla tomba vanno spesso, perché hanno dei loro cari, e piangono. Ci sono persone che, di fronte alla prospettiva di mettersi in cammino verso il sepolcro dove è deposto Gesù, si chiedono: «Chi ribalterà la grossa pietra?». Ognuno di noi ha “la sua grossa pietra”, quella che gli fa dire: «Schiacciato qui sotto non faccio ragionamenti, grido!». La grossa pietra può essere un perdono che non arriva o un perdono che non parte, un’abitudine di peccato che non si riesce a vincere o un dramma in famiglia. C’è chi arriva a dire «basta». Ma l’andare al sepolcro di Gesù, in quel luogo di buio, paradossalmente fa incontrare la luce.
Vorrei trascinare tutti i miei fratelli per mano – per l’incarico che ho devo aprire la strada – per salire tutti insieme al sepolcro.
Auspico che la nostra spiritualità sia connotata fortemente dalla risurrezione. Tutte le pietre verranno rovesciate se crediamo nel Signore Gesù! Quando arriviamo al Santo Sepolcro, è come se venissimo rimandati indietro. Pensiamo alle migliaia di pellegrini che sono saliti a Gerusalemme nel corso dei secoli. Pensiamo ai crociati andati per liberare il Santo Sepolcro. In questi ultimi anni i pellegrini sono triplicati. Alla tomba si ode una parola che ricaccia tutti indietro: «Non est hic!». È utile sentirci dire che il Signore non è lì. Sappiamo dove cercarlo.
Nella lettura breve dei Vespri abbiamo ascoltato la narrazione di un incontro col Risorto. Maria di Magdala va alla tomba, ma non vede il Signore. Quando arriva, non lo riconosce. C’è una costante nei racconti di risurrezione: Gesù c’è, ma non viene riconosciuto. Non l’hanno riconosciuto i pescatori sul lago: lo riconoscono soltanto dopo aver ascoltato l’invito: «Gettate ancora le reti dalla parte destra della barca» (cfr. Gv 21,6). I due di Emmaus hanno fatto strada con Gesù senza capire chi fosse e l’hanno riconosciuto quando ha spiegato le Scritture e ha spezzato il pane: «Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentr’egli ci parlava…» (cfr. Lc 24,32). Così Maria di Magdala: lo riconosce soltanto quando si sente chiamare per nome: «Maria!» (cfr. Gv 20,16).
La nostra situazione di cristiani del terzo millennio non è così differente da quella dei primi discepoli. Loro lo vedevano, ma non lo riconoscevano; allo stesso modo noi facciamo fatica a riconoscerlo. Però, mettendoci in ascolto della Parola, credendo che è vera e cercando di viverla, sentiamo la sua presenza. Ad esempio, Gesù dice di «perdonare settanta volte sette» (cfr. Mt 18,22): proviamo, vedremo che cosa si muoverà dentro di noi. Gesù dice: «Siete sale della terra e luce del mondo» (cfr. Mt 5,13-14), accettiamo la sfida, vedremo quanta forza troveremo. Proviamo a vivere concretamente la Parola.
Nel Vangelo di oggi (cfr. Mc 9,30-37) abbiamo letto che Gesù prende un bambino e lo mette «nel mezzo». Perché «nel mezzo»? Perché fosse equidistante. Quel bambino rappresenta “la fragilità”; è piccolo, reclama protezione, aiuto. Gesù lo mette «nel mezzo» affinché ognuno ne sia responsabile e possa fare qualcosa per quel bambino. Penso a quanto sta accadendo a San Marino, dove si sta lavorando ad una legge per l’introduzione dell’aborto. Anche noi siamo responsabili: quel bambino che non viene accolto è un fragile. Un altro fragile è sicuramente l’anziano, un altro l’ammalato, il profugo, ecc. Ognuno sa quali sono le fragilità in cui si imbatte ogni giorno. Quella fragilità è il bambino che Gesù mette nel mezzo. Ma il bambino nel mezzo è anche un maestro, perché i bambini sanno cavar fuori da noi il meglio, ci insegnano la fiducia, ci insegnano a ricominciare. Ad esempio, piangono e poi improvvisamente ridono…
Concludo leggendo alcune righe di una preghiera di San Bernardo, uno dei più brillanti scrittori del Medioevo. È Gesù che parla con Maria di Magdala: «Donna, perché piangi? Chi cerchi? Colui che cerchi è con te, e non lo sai? Possiedi la vera, eterna felicità e piangi? Hai dentro di te quello che cerchi al di fuori. E veramente stai fuori, piangendo vicino a una tomba. Ma Cristo ti dice: il tuo cuore è il mio sepolcro: io non vi riposo morto, ma vivo in eterno. La tua anima è il mio giardino… Il tuo pianto, il tuo amore e il tuo desiderio sono opera mia: tu mi possiedi dentro di te senza saperlo, perciò mi cerchi al di fuori. Allora ti apparirò all’esterno, per riportarti nel tuo intimo e farti trovare nell’interno quello che cerchi fuori. Maria, io ti conosco per nome, tu impara a conoscermi per fede… Non toccarmi, perché non sono ancora asceso al Padre: tu non hai ancora creduto che io sono eguale, coeterno e consustanziale al Padre. Credi dunque questo e sarà come se mi avessi toccato. Tu vedi l’uomo, perciò non credi, perché non si crede quello che si vede. Dio non lo vedi: credi e vedrai». (S. Bernardo, In Passione et resurrectione Domini, 15,38)