Omelia IV Domenica d’Avvento
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cailungo (RSM) – 18 dicembre 2016
Is 7,10-14
Sal 23
Rm 1,1-7
Mt 1,18-24
Meno dieci, meno nove, meno otto… insieme alle nostre comunità, conto i giorni che mancano al Natale. Meno sette, meno sei, meno cinque… Ci sono le recite nelle scuole (bravissimi i bimbi delle nostre scuole che si esibiscono davanti a nonni e genitori letteralmente impazziti). C’è chi s’affretta per gli acquisti per fare più bella la festa. Ma chi pensa al Festeggiato? Siamo pronti ad accoglierlo? Troverà, ancora una volta, soltanto paglia? Meno male che c’è la sua Mamma… Meno male che c’è Giuseppe, l’uomo dei sogni, che non parla mai, ma che sa ascoltare, che preferisce l’amore a Maria e a Dio piuttosto che l’amor proprio. Stiamo davanti al presepio e dedichiamo un po’ del nostro tempo, sempre così concitato (lo dico soprattutto per chi vive fuori di qui), alla meditazione. Mettiamoci nei panni dei personaggi del presepio, soprattutto nei panni di Maria che porta in grembo Gesù ed è ormai pronta per dargli la luce e come tutte le mamme con tanto amore ma anche con altrettanta apprensione; nei panni di Giuseppe che cerca un posto dove alloggiare Maria e il nascituro.
Dal racconto evangelico vediamo come Giuseppe per amore di Maria sia disponibile ai disegni di Dio e faccia spazio nel suo cuore al Bambino non suo. E diventa vero padre di Gesù, anche se non ne è il genitore. Con Giuseppe s’impara come accogliere Gesù: silenzio, obbedienza alla volontà di Dio, laboriosità senza attivismo, fiducia perché Dio è il protagonista e conduce gli avvenimenti. Qui, come a Betlem, succede di tutto: c’è chi è nemico di quel Bambino così intrigante e compromettente (Erode non è del tutto sparito). C’è chi è semplicemente indifferente: ha ben altro da pensare. C’è, in fine, chi ha fatto l’abitudine e non riesce a stupirsi nemmeno di un Dio che si fa bambino e che si può coprire di baci. Apro una pagina dal profeta Isaia. Faccio fatica a trattenere la commozione: così il Signore vince la mia tiepidezza: Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te… se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, … poiché io sono il Signore, tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore. Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo… Non temere, perché io sono con te.
Quel bambino che sta per nascere ha un nome che riassume in sé la storia di Dio con l’umanità. Il nome, nella cultura antica, rappresenta l’identità e il compito di un uomo sulla terra. Giuseppe si è trovato davanti alla responsabilità di dare il nome per il nascituro. Nell’albero genealogico disponevano di nomi illustri. Ma per quel bambino interviene il Cielo. A Giuseppe viene detto che il bambino che nascerà porterà il nome di Gesù, che significa il Signore salva. Ma aggiunge che il bambino adempirà la promessa del profeta: La vergine concepirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa: Dio con noi. Due nomi per un solo bambino! Sovrapponendo i due nomi – Gesù, Emmanuele – si comprende che egli è il Signore-salva-con noi. Per salvarci, Dio si fa uno di noi: Gesù. Nello stesso tempo è Signore con noi, perché non ci salva senza di noi: Emmanuele. Che fa Giuseppe? Tenta di sottrarsi all’invadenza del Cielo, poi ascolta. L’augurio di Natale: fai anche tu spazio al Cielo.
Meno quattro, meno tre, meno due…