Omelia III Domenica del Tempo Ordinario
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cappella del vescovado, Pennabilli, 24 gennaio 2016
Ne 8,2-4.5-6.8-10
Sal 18
1Cor 12,12-30
Lc 1,1-4; 4,14-21
Quasi non riusciamo a staccarci da Cana… Ma dobbiamo passare dalla festa di nozze alla sinagoga di Nazaret: altro scenario, altra atmosfera, altra gente. Protagonista è ancora Gesù alle prese con quelli del suo villaggio e con la loro vita. Di che cosa è fatta la vita se non di rapporti, di lavoro e di famiglia? Ciò che si vive concretamente può essere raffigurato dall’acqua nelle anfore di Cana, cioè il quotidiano fatto di amore, di fatiche e di attese, ma che può essere trasformato se offerto al Signore, cioè se è vissuto con lui.
Entriamo dunque in sinagoga al seguito di Gesù.
Gesù ci va ogni sabato “secondo il suo solito”. Partecipa con puntualità alla preghiera comune, ascolta le parole che Dio ha rivolto al suo popolo. Ha imparato che nelle cose di Dio non vale il fai da te. E poi è felice di appartenere al suo popolo, di partecipare ai suoi riti e alle sue tradizioni. Gesù come un fiore sboccia e si apre sul grande albero della storia di Israele.
Quel sabato dopo la preghiera iniziale, è invitato a prendere la parola per offrire una spiegazione al testo previsto dalla liturgia sinagogale per quel sabato: Isaia, capitolo 61: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Forse non è la prima volta che Gesù viene invitato a leggere. Ma l’evangelista dà grande rilievo a questo momento. Con fine arte letteraria e sensibilità psicologica, evidenzia l’atmosfera di suspense dell’uditorio di fronte al nuovo Maestro e in tal modo sottolinea il carattere programmatico dell’omelia di Nazaret: quello che Gesù sta per dire è della massima importanza, costituisce il suo manifesto. E’ sorprendente la solennità con cui si compie quel rito: viene consegnato il rotolo, lo apre, trova il passo, si alza, legge, chiude il libro, lo restituisce al cerimoniere, siede, gli occhi di tutti sono puntati su di lui, silenzio…
Cominciamo a capire anche noi chi è Gesù. A differenza dei predicatori del tempo, non si perde nei labirinti dell’esegesi o della retorica, ma punta dritto su ciò per cui quel testo è stato scritto: oggi si compie questa scrittura davanti a voi che ascoltate. Con quell’oggi Gesù lega la sua persona all’avvento del Regno: il Regno di Dio sta per comparire tra gli uomini. L’umanità che sfila davanti ad Isaia risulta povera, prigioniera, cieca, oppressa. Gesù non mette come scopo della storia se stesso, ma i destinatari di quell’annuncio: i poveri, gli oppressi, i prigionieri, i ciechi… A loro è annunciato il Regno di Dio. Questi destinatari siamo noi, oggetto della misericordia di Dio. Siamo chiamati a compiere anche noi le opere del Messia: «Voi farete cose più grandi di me», dirà un giorno Gesù. In questo Anno Santo ci stiamo proponendo di praticare le opere di misericordia; non sia tanto la pratica di una “buona azione” ma la maturazione di uno stile di vita, di un giudizio serio sulla realtà che ci circonda. Mettiamoci nei panni del Messia: “Che cosa faresti, Gesù, al mio posto?”.